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House of the Dragon, la recensione

Per il Regno, per il casato, per sé stessi, per il potere…

Sette erano i regni e uno solo il trono per cui uccidere.

Game of Thrones è stata una delle più belle e sanguinose saghe medieval/fantasy mai viste su piccolo schermo, otto stagioni di cui sette tratte dai libri Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R.R. Martin, mentre l’ultima è stata il parto degli sceneggiatori David Benioff e D. B. Weiss.

Per quel trono re, regine, guerrieri e cortigiani (e non-morti e draghi, forse i più saggi) si sono uccisi e amati, fra lutti indicibili e rari sprazzi di felicità, mentre i loro destini si sono intrecciati lungo un arco narrativo complesso, ricchissimo di evoluzioni.

Enorme fenomeno mediatico, ben sorretta quanto a promozione e merchandising, GoT è stata una serie capace di attrarre e avvincere anche spettatori non propriamente appassionati del genere. Che sono passati attraverso otto stagioni di livello altalenante ma tutte capaci di tenere l’audience in palpitante attesa delle avventure seguenti in cui sarebbero incorsi i numerosi personaggi, fra i quali ciascuno aveva trovato i propri prediletti, crudelmente e progressivamente sfoltiti (si diceva “non affezionatevi a nessuno”).

Tutte belle e platinate le Principesse Targaryen.

I protagonisti erano davvero passati attraverso tragedie, torture e stragi, subite e inflitte, di tale barbarica crudeltà, di tale efferato sadismo, da far uscire i sopravvissuti profondamente cambiati in meglio come in peggio. Rari i momenti d’amore ma quei pochi emotivamente intensissimi, più frequenti quelli di sesso, messo in scena proprio senza veli. Ottima si era rivelata la scelta degli attori, alcuni nomi noti, altri non di primissima fila, qualcuno sconosciuto: tutti hanno tratto fama e rilancio dalla partecipazione.

Inevitabile quindi aspettarsi un seguito a un prodotto di tale successo. E il seguito adesso è arrivato, in forma di prequel, con House of the Dragon, tratto dal romanzo di Martin Fire & Blood, visibile da ieri su Sky, con un cast davvero promettente. Si tratta di 10 episodi, ciascuno dal budget di 20 milioni di dollari, anche a causa dei draghi, qui protagonisti e non comprimari della storia, che sono molti e diversi.

La frase di lancio è: “a cosa serve questa breve, mortale vita, se non a lasciare un segno?”. La narrazione si concentra sulla famiglia della Madre di Draghi, quella Daenerys che diventerà Khaleesi, passando attraverso una catena di prove di tale durezza da portarla a diventare gradualmente sempre più lontana da com’era all’inizio della sua avventura. Che aveva preso lentamente inizio ai tempi dei suoi antenati, quasi 200 anni prima del momento in cui l’avevamo conosciuta, portata in sposa all’intimidente Kahl Drogo.

I Re buoni hanno questa faccia.

Ai tempi del re Jaehaerys, era stato designato come successore il cugino Viserys e non la figlia Rhaeney, perché una donna non poteva sedere sul Trono di Spade. E Viserys ha regnato bene, un uomo illuminato, poche ambizioni, poche stragi. Del resto, il regno dei Targaryen era potentissimo, perché aveva il dominio sui draghi, arma di terrificante potenza. Solo i Targaryen potevano nuocere ai Targaryen.

All’inizio del primo episodio siamo al nono anno del suo regno, 172 anni prima della morte del Re folle Aerys e della nascita di Daenerys. Viserys attende un erede maschio dall’amata consorte, mentre Rhaenyra, l’unica figlia, vola con i draghi libera da impegni istituzionali, ferita però dalla disaffezione del padre.

Quando però Viserys si vede costretto da problemi dinastici a nominare come suo successore proprio lei, vista l’inadeguatezza per quell’alto compito del fratello Daemon, una vera carogna perversa, fosche nubi s’addensano all’orizzonte. Mai sottovalutare una femmina, però, specie se è una che cavalca i draghi e al suo ben noto comando “Dracarys” scatena l’inferno.

Paddy Considine è il Re dal volto buono ma in fondo più debole del dovuto. Sua figlia da adolescente è interpretata da Milly Alcock, perennemente imbronciata e ben scelta, mentre da adulta sarà Emma D’Arcy (si è puntato alla somiglianza con Daenerys). Matt Smith è Daemon, con la faccia di quando vuole fare lo psicopatico. Rhys Ifans è l’ambiguo consigliere Hightower (personaggio subdolo).

Matt Smith, l’erede reietto e perverso.

Al suo fianco troviamo la figlia Alicent, dama di compagnia di Rhaenyra, personaggio che avrà uno sviluppo già prevedibile, e che ha il viso pulito di Emily Carey (da piccola, da grande sarà Olivia Cook). Rhaeney, quella che non è mai stata Regina, ha la faccia altezzosa di Eve Best (la ricordiamo in Nurse Jacky). Il suo consorte, Lord Corlys Velaryon, è l’attore Steve Toussaint (il che ha creato qualche polemica con i fan).

Il primo episodio, mentre riprende il look dell’originale, complice anche la colonna sonora ancora una volta di Ramin Djawadi, in cui echeggia il tema indimenticato di GoT, mette bene in posizione tutte le pedine le cui mosse seguiremo in un procedere dell’azione che promette di ricalcare la serie “madre”. Senza farsi ovviamente mancare violenze sanguinose, nudi femminili e comportamenti sessualmente scorretti (guai se il “politicamente corretto” entrasse dappertutto), cortigiani infidi, alleanze e tradimenti, costumi fantasiosi, linguaggio arcaico (l’alto Valyriano) e nomi ricchi di ipsilon e dittonghi. E draghi, naturalmente.

Mentre entrano in scena nuovi personaggi (il che richiede sempre una certa concentrazione), ci auguriamo che House of The Dragon riesca a far sviluppare i volti finora visti e gli altri che arriveranno alla stregua di Game of Thrones, creando un gruppetto in cui eleggere i più amati e i più odiati, elemento indispensabile per creare “dipendenza” e legare lo spettatore fino alla fine. Lo scopriremo di settimana in settimana.

Rhys Ifans è il consigliere infido.

Quasi in contemporanea, su Prime dal 2 settembre, ci sarà da immergersi in un altro cruento mondo fantasy (con meno sesso però), ossia quello del Signore degli Anelli – Gli anelli del Potere, che si dice sia “la serie TV più costosa mai realizzata”. Vedremo se nei cuori (e nel tempo) degli appassionati ci sarà posto per entrambi o chi invece prevarrà. E se ne restasse uno solo?