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La Città Incantata - reportage

Fumetto, animazione e videogiochi si sono incontrati in una cornice d'eccezione.

Un centro di energia creativa. Questa è probabilmente la definizione che meglio calza a La Città Incantata, una tre giorni di incontri, workshop e dibattiti patrocinata dalla Regione Lazio e tenutasi dal 10 al 12 luglio nella cornice d'eccezione di Civita di Bagnoregio, in provincia di Viterbo.

La Città Incantata si è rivelata da subito come un evento molto diverso, ospitato per una volta non dai sì più funzionali, ma anche freddi, padiglioni e spazi fiera a cui siamo abituati. La "Città che muore", così definita per via della costante erosione a cui è soggetta la base argillosa di Civita di Bagnoregio, è un pittoresco labirinto fatto di stradine, piazzette e archi in cui non sono mancati i punti di aggregazione anche spontanea tra professionisti e appassionati di molte branche creative.

In questo contesto non poteva mancare il videogioco, rappresentato dagli studi di sviluppo Imagimotion e Interative Project, nonché dal giovane designer e programmatore Mattia Traverso, intervenuti in un incontro sostenuto da AESVI e AIV, l'Accademia Italiana Videogiochi.

Tra talk show e dibattito, l'incontro ha visto Alessio Falsetti di Imagimotion, Augusto Pace di Interactive Project e Mattia Traverso, raccontare origini, vicissitudini, modus operandi, speranze e obiettivi delle rispettive realtà di sviluppo. I toni si sono attestati su una nota diversa dalla presentazione formale e mirata, e ciò che ne è emerso è sembrato dettato dalla voglia di raccontarsi e raccontare non pochi retroscena di una scena italiana che ha dato l'impressione di essere molto più preparata di quanto non si sia portati a credere d'impulso.

La cornice e i tempi scelti hanno favorito un evento dal mood molto rilassato.

E di storia da raccontare ne ha sicuramente tanta Imagimotion, studio romano fondato nel 2000 ma partito già nel 1997 come azienda multimediale dal classico sogno di tre amici, in un'era in cui il suffisso delle DirectX non andava oltre il 6 e un certo John Carmack chiedeva accesso di più basso livello per operare le sue magie informatiche.

Il racconto di Alessio Falsetti affascina non solo per lo spaccato di vita nella scena italiana, allora più misconosciuta (e sottovalutata) di oggi, ma anche per la consapevolezza dei limiti di un mercato che non offre troppe occasioni di decollare e che, se non rema contro invece di favorire, poco ci manca.

Eppure, i 15 anni di attività passati tra DreamStorm, MMO in isometrica forse troppo avanti per i tempi (nonché per svariate difficoltà dovute a un paese da sempre restio a comprendere i videogiochi), una parentesi di lavoro su effetti speciali con tanto di studio a Cinecittà e ben 8 persone impiegate, fino ad arrivare ai titoli ispirati al personaggio di Nicolas Eymerich, testimoniano una valenza che è difficile ignorare.

Totalmente diversa la storia di Interactive Project, nata nel 2011 e decisamente più improntata al mercato mobile, con una passione per i motori non solo dichiarata apertamente sul sito web dello studio, ma anche alla base di molti dei titoli sviluppati.

Tra gli highlight dello studio figura OverVolt, capace di far registrare ben 650.000 download (e 200.000 in Cina), realizzato con il supporto di AppCampus di Microsoft e uscito in esclusiva per i primi tre mesi di vita su Windows Phone. Al di là dell'interessante riflessione sulla piattaforma, che a giudicare dal successo di OverVolt si è rivelata più proficua di quanto si sia portati a pensare, la storia di Interactive Project dimostra anche come ci sia spazio per l'idea giusta nel sempre più competitivo ambito mobile.

Un video preliminare di Feudalism The Game.Guarda su YouTube

Il denominatore comune che affiora dalle esperienze dei due studi è di natura tutt'altro che tecnica, e si riallaccia alla comprensione del videogioco inteso come medium e, perché no, opera d'arte, cui accennavamo poc'anzi. Dopotutto, se gli interlocutori più ricettivi non sono quasi mai italiani e il committente medio del Bel paese chiede a uno studio "fammi un gioco come GTA" senza farsi il minimo dubbio, il sospetto che il videogioco non sia ancora riuscito a farsi accettare sul nostro territorio come una cosa seria non fa che trovare conferma.

A fare da contraltare e ulteriore conferma è intervenuto anche il giovanissimo Mattia Traverso, prodotto di un'era moderna in cui l'ispirazione nasce da portali come Armor Games, ma che riesce a esprimere benissimo la creatività italiana trovando in Flash uno strumento nient'affatto limitante, e che fa anzi scoccare la scintilla creativa di chi macina idee e ha bisogno solamente di qualcosa con cui realizzarle, insieme a una sana voglia di imparare partendo da zero.

Il percorso formativo di Mattia, ancora in pieno corso, è già passato per varie Game Jam in cui la filosofia del game designer è stata di sperimentare, ma anche di andare oltre il semplice prototipo senza addurre il tempo limitato come scusa per un prodotto poco rifinito. L'approccio sembra per ora dargli ragione, visti i riconoscimenti ottenuti sulla movimentata scena delle Game Jam, considerate un'esperienza decisamente formativa da tutti gli intervenuti.

Importantissimo, in tutto questo, un contesto in grado di favorire lo sviluppo del programmatore/designer: Mattia risiede in Olanda, e le storie di supporto agli sviluppatori sembrano descrizioni di un mondo alieno per chi è abituato a una scena che spesso spazia nell'ostile come quella italiana ("i detrattori più feroci, anche in maniera gratuita, sono quasi sempre italiani", ha raccontato Falsetti a margine dell'incontro).

Interactive Project ha trovato terreno fertile in Windows Phone e nel tema corsistico, all'interno di un pur molto competitivo ambiente mobile.

Per rendere l'idea non c'è bisogno di ricordare i famigerati servizi anti-videogiochi che periodicamente fanno del nostro passatempo preferito il capro espiatorio per problematiche sociali di vario genere. Basti tenere presente che scenari come il finanziamento del governo francese a un motore grafico sviluppato da Ubisoft sono, per noi, fantascienza assoluta.

Quel che è emerso, però, dal convergere di questi studi sotto la bandiera dell'evento supportato da AESVI e AIV, è che le realtà italiane danno la netta impressione di essere molto più preparate di quanto si possa pensare e che manchi solo un piccolo passo in avanti per fare il vero salto di qualità.

I progetti futuri sembrano avere del potenziale: Imagimotion è al lavoro su uno strategico classico a turni hardcore e dai toni realistici intitolato Feudalism, in cui troveranno posto la gestione di una propria discendenza nel corso degli anni su cui si svilupperanno le partite, e altre meccaniche adatte al contesto storico. La versione italiana, inoltre, si appoggerà alla pagina Facebook Feudalesimo e Libertà per una variante FEL dai testi in tema.

Interactive Project non ha ancora un nuovo progetto annunciato (se ne riparlerà a settembre), ma visto che ha dimostrato di sapersi muovere bene nell'ambito mobile/web, e il denominatore degli sport motorizzati comune a quasi tutti i suoi progetti, è probabile che continui a cavalcare la stessa onda.

Mattia Traverso, infine, è attualmente al lavoro su una versione estesa di Fru, puzzle game premiato da pubblico e giuria alla Global Game Jame 2014 di Breda. Il gioco non solo punta a sfruttare il dimenticato Kinect, ma anche a farlo per un titolo serio e non con la classica formula del party game.

Fru punta non solo a recuperare il bistrattato Kinect, ma anche a sfruttarlo in maniera 'seria'.Guarda su YouTube

E il futuro? Nel corso degli ultimi anni sono diverse le realtà esplose in ambito videoludico. Alcuni esempi pescati da un pool molto ampio sono Vlambeer (Olanda), Klei Entertainment (Canada), 11 bit Studios (Polonia) per fare solo alcuni nomi. Ma è possibile che lo stesso accada anche in Italia?

I tasselli che mancano nel quadro generale non sembrano impossibili da aggiungere. Oggi il videogioco non è forse ancora accettato come dovrebbe, ma è sicuramente più diffuso e presente nella cultura generale. Realtà come AIV, al sesto anno dei suoi corsi, hanno dimostrato che non c'è motivo per cui i talenti italiani, se adeguatamente preparati, non possano trovare sbocchi professionali in questo campo.

In parole povere, il problema in Italia non è saper fare i videogiochi, ma trovarsi nelle migliori condizioni di farli. Come detto, la sensazione da cui siamo usciti dall'appuntamento con La Città Incantata è che manchi solo la scintilla che dia veramente fuoco alle polveri e proietti la scena nostrana al livello superiore. E ci auguriamo che possa scoccare da un momento all'altro.