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The Outer Worlds - recensione

Un'avventura dell'altro mondo.

È facile capire perché ogni volta che si parla di The Outer Worlds la mente voli immediatamente a Fallout: New Vegas. Nonostante li dividano nove anni, i due giochi condividono molto, dalla struttura generale del gameplay al team di sviluppo. A corroborare questo legame sono arrivati Tim Cain e Leonard Boyarsky, nientemeno che i creatori originali della serie di Fallout, qui in veste di director.

A dirigere l'orchestra c'è Private Division, una nuova etichetta di Take Two pensata per pubblicare progetti di dimensioni medio-piccole, che si discostino dai prodotti tripla A di 2K e Rockstar.

Un simile mix di talenti non poteva che dar vita ad un prodotto maturo, ben scritto, dal sapore classico. Un GdR nel quale si recita realmente un ruolo e in base a quello si deve cercare di plasmare il mondo intorno a noi. E il mondo in questione è il lontano sistema di Alcione, un periferico gruppetto di pianeti stretto nella morsa del Consiglio, una tentacolare multinazionale che controlla qualunque aspetto di queste colonie.

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Noi siamo lo Straniero, l'unico scongelato della Speranza, una nave che avrebbe dovuto portare ad Alcione coloni di alto profilo e che per qualche strano motivo è da settant'anni tenuta nascosta e sotto ghiaccio. Il nostro compito è quindi quello di capire come poter aiutare il folle professore Phineas Welles a destare i nostri compagni rimasti sulla Speranza. Le loro brillanti menti potrebbero dare una scossa alla depressa economia di Alcione e far ripartire l'intero sistema, magari lontano dalle grinfie del Consiglio. O in alternativa possiamo approfittare della situazione per infilarci tra le maglie del Consiglio e perseguire le nostre sordide ambizioni.

La struttura di The Outer Worlds è pensata, quindi, per modellarsi in base alle nostre decisioni. Le nostre scelte plasmeranno sia le capacità del nostro alter ego, ma anche la struttura sociale di Alcione. Attraverso i punti esperienza potremo rendere lo straniero un affabile e carismatico conversatore, o in alternativa una becera, ma letale macchina da guerra. Queste scelte influenzano sensibilmente sia il modo di approcciare le missioni, sia la loro struttura. Un ottuso soldato difficilmente potrà portare a termine una missione se non tirando fuori l'arma dal calibro più grosso che ha a disposizione. Un chiacchierone, invece, potrebbe convincere i nemici a gettare le armi e gli amici ad essere più generosi con le ricompense. Gli esperiti di hacking non avranno problemi ad aprire casseforti o aggirare sistemi di sicurezza, mentre i dottori potranno curare meglio le ferite, ma anche capire al volo la composizione di alcune sostanze o i loro benefici medici.

Non c'è quindi un modo corretto per portare a termine una missione, così come nei dialoghi non c'è mai una scelta etica migliore di un'altra. Aiutare una fazione o prediligere il tornaconto personale, infatti, è una scelta del tutto personale. Tanto ad Alcione fa tutto schifo, non ci sono i classici buoni, così come mancano i veri cattivi. Obsidian è stata brava a dipingere un mondo fatto di sfumature, di toni di grigio, a volte più scuri, altre più chiari, ma mai bianchi o neri. Un universo nel quale è possibile trovare forti e taglienti riferimenti alla società attuale, al modo nel quale il capitalismo sta assorbendo le nostre vite, ma coloro che lo combattono assumono posizioni diametralmente opposte, ugualmente impraticabili.

Folle o genio? Starà a voi capire le intenzioni di Phineas Welles!

Tra una decisione e l'altra abbiamo una struttura da gioco di ruolo piuttosto classica nella quale alle missioni principali si affiancano tutta una serie di secondarie utili per potenziare il personaggio, esplorare le mappe o scoprire la storia dietro i compagni dello Straniero. Nonostante si possano risolvere in più modi le missioni sono sempre piuttosto guidate e un indicatore segnala chiaramente dove occorre andare per avanzare, rendendo a volte superflua sia l'esplorazione, sia la lettura dei dialoghi.

I combattimenti, invece, non sempre sarà possibili evitarli. Le mappe, di dimensioni generose, ma non open world, infatti, sono costellate di predoni e altre creature autoctone decisamente poco amichevoli che per forza di cose andranno obliterate per raggiungere un obiettivo. Senza considerare che spesso la violenza è il metodo più semplice per risolvere un qui pro quo.

Il sistema di combattimento è all'apparenza quello di uno sparatutto in prima persona nel quale è anche possibile rallentare brevemente il tempo. In maniera simile a Fallout, nonostante manchi la possibilità di agganciare automaticamente i nemici. Aumentando le statistiche dello Straniero sarà possibile attivare dei bonus colpendo parti specifiche dei nemici, oltre che aumentare il tempo... che si potrà fermare il tempo. Nonostante ci siano armi piuttosto originali, il feeling dello shooting è piuttosto fiacco, il level design e l'intelligenza artificiale nemica non aiutano a rendere i combattimenti spettacolari e in generale gli scontri non risultano particolarmente divertenti.

Per questo motivo si potrebbe decidere di non parteciparvi del tutto, utilizzando le abilità stealth del protagonista per non attirare le attenzioni e lanciando nella mischia i due compagni che sarà possibile portarsi appresso.

Il sistema di combattimento, nonostante le tante armi differenti, non è particolarmente elettrizzante.

Questi, oltre a donare al protagonista un po' delle loro skill (non importa che siano oratorie, informatiche o guerriere), combatteranno in maniera più o meno efficace a seconda dei punti esperienza spesi nella voce Comando, alle abilità sbloccate e all'equipaggiamento indossato. Si potrà dire loro di attaccare un determinato bersaglio o di utilizzare una mossa speciale e poco altro. La loro presenza, nonostante siano presentati in stile Mass Effect, è ai fini della trama più accessoria che altro, diversamente da quanto accade nel capolavoro di Bioware.

Nonostante possa sembrare che tutto sia al suo posso, è indubbio come Obsidian avrebbe potuto fare qualcosina di più per stratificare la gestione del party. Il design dei menù è brutto e scomodo e le opzioni a disposizione per personalizzare i compagni sono molto poche. Ogni personaggio, infatti, potrà indossare solamente una tuta e un casco, oltretutto senza particolari bonus tra i quali scegliere. L'unico elemento un po' approfondito è la gestione delle armi. Presso i banchi da lavoro è possibile modificarle attaccando nuove parti capaci di conferire loro particolari bonus, come atterramento o bruciatura. Anche in questo caso, però, nulla che sia in grado di restituire un feedback delle armi piacevole e di trasformare gli scontri.

Il non aver approfondito questa componente ruolistica smorza un po' la voglia di esplorare per cercare nuove armi e armature con le quali diventare sempre più forti e grazie alle quali mettere a ferro e fuoco il pianeta, comunque uno degli elementi portati di questo genere di GdR. E l'avere il desiderio di cercare nuove armi e tecnologie sarebbe stato molto importante in mappe come quelle di The Outer Worlds che donano sì l'idea di trovarsi all'interno di mondi lontani ed inesplorati, ma proprio per questo sono vuoti e privi di quel brivido della scoperta che accompagno ogni passo fatto al di fuori dei Vault.

Il design dei diversi pianeti è sempre molto alieno, soprattutto nelluso dei colori. Le mappe, però, sono piuttosto vuote.

In definitiva, quindi, The Outer Worlds è un'esperienza divertente da leggere, creata in maniera molto professionale da veterani del settore e sviluppata con una buona cura. Il motore di gioco, pur non perdendosi in particolari frivolezze, è solido, il design di mostri è ambientazioni è piacevole e i colori utilizzati sono sempre azzeccati. Le musiche sono orecchiabili e il doppiaggio, solo in lingua inglese (ma discretamente sottotitolato in italiano) è di ottima fattura. L'unico elemento tecnico che potrebbe essere migliorato è rappresentato dai caricamenti tra un'area e la successiva: i tempi di attesa sono lunghi, a ulteriore dimostrazione di come il gioco condivida ancora molto della struttura tecnologica di Fallout: New Vegas.

Tornando al capolavoro di Bethesda, molto probabilmente il più grasso limite di The Outer Worlds è proprio che non è un Fallout. Nonostante gli sforzi e i tanti spunti, Obsidian non è riuscita a ricreare la magia del mondo post apocalittico ideato da Interplay e sviluppato dal team di Todd Howard. Le Nuke Cola, la Confraternita d'Acciaio, le radio che trasmettono a ciclo continuo i pezzi anni '50 e il fascino distorto di un'America che c'era e che si è sciolta sotto le radiazioni sono elementi cardine dei Fallout che non trovano un corrispettivo in The Outer Worlds.

Senza contare che nel gioco di Private Division manca del tutto la componente dell'esplorazione: la scoperta di luoghi segreti, di altri Vault, il ritrovare segreti e vecchie tecnologie scomparse era uno degli elementi cardine dell'esperienza Fallout che in The Outer Worlds mancano per via di mappe vuote e dell'assenza di elementi autoctoni che raccontano qualcosa semplicemente osservandoli. Non ci sono monumenti del passato che ritornano alla luce, fazioni nascoste trovare. Manca un universo vibrante al di fuori delle sparute e depresse cittadine di Alcione. Perché gli avamposti dei predoni o le tane dei mostri possono servire come diversivo per sparare qualche proiettile, ma nella loro staticità non riescono a dare agli spazi tra un villaggio e l'altro della mappa un senso che non sia quello di riempitivo.

Le diverse cittadine sono il fulcro di quasi tutti i principali avvenimento di The Outer Worlds.

Esteticamente i diversi pianeti sono originali, le storie raccontate dai pochi abitanti ben narrate, ma il fascino di questa galassia lontana è decisamente più subdolo di quanto avremmo voluto. Molte battute o critiche alla nostra società si perdono dietro una costruzione dell'ambientazione meno marcata e viva del previsto, che va dedotta andando avanti nella storia più che assaporata passo dopo passo.

Quello che resta è un'esperienza più lineare che in Fallout che, dopo un inizio un po' lento, dà tanti spunti di riflessione e che effettivamente replica in maniera fedele quella che è l'essenza di New Vegas. Ovvero un gioco di ruolo nel quale è possibile plasmare il mondo e il modo di approcciare le missioni in base alle nostre scelte e alle capacità del nostro protagonista. Il capolavoro di Bethesda, però, non è solo questo. Questo sistema era solo il cuore di un ecosistema complesso e vibrante, ricco di cose da fare e da scoprire, pezzi di armi e armature da trovare. E come contorno c'è semplicemente uno degli universi più affascinanti dell'intero mercato videoludico, fatto di musiche, luoghi e citazioni capaci di imprimersi per sempre nella memoria.

The Outer Worlds resta un'opera altamente consigliata a tutti gli amanti dei giochi di ruolo di stampo occidentale, soprattutto per coloro che se lo troveranno all'interno del Game Pass di Xbox, e l'inizio -speriamo- di una serie dalle potenzialità davvero interessanti.

7 / 10