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C'era una volta il Dreamcast

L'ultimo sogno di SEGA.

Nota a margine richiede la citazione degli ultimi tre giochi creati per questa piattaforma, rilasciati addirittura nel 2007: ultimi testimoni di un amore senza fine, probabilmente concretizzatosi tardi. A valle di ciò sembrerebbe che ancora oggi, nel 2009, ci siano ancora voci più o meno confermate di giochi in sviluppo per questa piattaforma così particolare.

Parlando del software a disposizione dei possessori del Dreamcast, menzione particolare merita il filone sportivo che fu sicuramente uno delle punte di diamante dell'ampia offerta SEGA: su questa piattaforma nacque infatti il franchise 2K che, nelle sue varie accezioni (NBA, NFL, NHL) è cresciuto negli ultimi anni in maniera tale da minare significativamente il dominio del gruppo EA Sports. Un riferimento per rendere l'idea può essere colto raffrontando le vendite della versione per i due franchise di una disciplina particolarmente amata nel territorio americano, la NFL: la versione per la macchina dei sogni surclassò la versione rivale di oltre 30.000 copie, per l'epoca un'enormità.

Crazy Taxy è stato per molto tempo uno dei software migliori a disposizione dell'utenza Dreamcast, ma è arrivato tardi purtroppo...

Sono diversi i giochi che devono essere doverosamente essere ricordati come punti di riferimento per la console giapponese e a ragione come perle videoludiche che meritano di brillare nel firmamento di ogni giocatore che si considera tale: su questa piattaforma infatti sono nate serie divenute ormai leggenda come Shenmue, Soul Calibur, Phantasy Star Online (uno dei primi veri MMORPG) e Virtua Tennis oltre che diversi episodi di serie già affermate, ma in grado di trovare una seconda giovinezza come Sonic, Sega Rally o King of Fighters.

Complessivamente l'intero parco titoli può contare attualmente all'incirca su 320 titoli ufficiali (senza cioè considerare una discreta produzione homebrew sviluppatasi negli anni), di cui un buon terzo non ha mai varcato in maniera ufficiale i confini del Giappone (seguendo una prassi comune anche al giono d'oggi.

All’interno della rivisitazione della storia recente del Dreamcast non ci si può esimere dal raccontare alcune particolarità che, seppur non rivestendo probabilmente un ruolo decisivo, sono comunque da consegnare agli annali per comprendere appieno come e cosa avvenne in quegli anni; ad esempio aneddoto curioso a conferma di quanto sia importante un brand riconoscibile e della sottostima che Sega riservò a questo aspetto è sicuramente il cambio di logo imposto a SEGA per il mercato europeo.

A causa infatti del sovrapporsi del colore della propria spirale (arancione) con quella di Tivola, un colosso del settore tecnologico tedesco, la casa giapponese fu costretta a modificare il proprio logo in blu, perdendo quella continuità che avrebbe potuto acquisire. Ai fatti il mercato europeo fu probabilmente quello che recepì meno (ovviamente non solo per questo motivo), il Dreamcast. Un detto comune afferma infatti che due indizi fanno una prova: come non citare quindi la sorte particolare che ebbe anche la decantata rete permanente di SEGA, ribattezzata per il vecchio continente DreamArena e affossatasi naturalmente per via di costi proibitivi? A causa di problemi di diversa natura non ebbe mai l’occasione per emergere come servizio dal valore aggiunto: in Finlandia ad esempio i prezzi elevati, nemmeno paragonabili alle veloci ISDN di allora, fecero tramontare sul nascere una possibilità comunque interessante.