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Peter Molyneux

I limiti del game design, la next-gen, il suo prossimo gioco "follemente ambizioso" e Project Milo.

Eurogamer: È però innegabile che i videogiochi siano cambiati molto. Discutevo giusto qualche giorno fa con Geoffroy Sardin di Ubisoft della costante stratificazione dei giochi, ormai straripanti di funzionalità di vario genere, spesso inutilizzate, che 'appesantiscono' sempre più il prodotto finale. Qual è la tua opinione?

Peter Molyneux: Sotto un certo punto di vista hai ragione, una volta c’era solo il gioco nudo e crudo, ora invece è una parte del tutto. Per un designer come me ci sono molte più cose da considerare nel progettare un videogame: le interazioni coi social network, i nuovi sistemi di controllo come Kinect, Move e Wii U, e altro ancora. Ci sono così tante cose da tenere a mente che si finisce per dimenticare che quello che conta alla fine è offrire alla gente la migliore esperienza di gioco possibile. Nel fare il game designer, quindi, credo sia importante capire quali degli strati che tu menzioni siano importanti, e insistere su di essi.

Da parte mia sono affascinato come sempre dalla trama, dalla storia che si racconta, e poi dalle community, dalla possibilità di essere connessi con gli altri e di capire ciò che vogliono, perché alla fine i miei giochi finiscono in mano alla gente. Ciò che è interessante è come di fronte a uno stesso problema la gente reagisca in modo diverso e proponga soluzioni differenti. Al tempo stesso, non ci si deve neanche fare troppo distrarre…

Hideo Kojima ha recentemente dichiarato che non sarà mai soddisfatto di nessun gioco riuscirà a creare. E Molyneux?

Eurogamer: Pochi giorni fa Hideo Kojima ha detto che non sarà mai soddisfatto di nessun suo gioco, perché oggi l’hardware permette così tante capacità espressive da non poterle sfruttare tutte. Mi interessava un tuo commento in proposito…

Peter Molyneux: Mi sento esattamente come lui ma per ragioni diverse. L.A. Noire e Heavy Rain ci dimostrano che la tecnologia oggi non ci pone limiti dal punto di vista espressivo, e che possiamo trasmettere qualsiasi tipo di emozione, anche le più drammatiche che potresti vedere in un film. Ovviamente la resa visiva non sarà quella realistica di un lungometraggio, ma chiunque può capire lo stato d’animo che vogliamo trasmettere.

Dove trovo un punto di contatto con Kojima è che oggi i videogame sono come i film all’epoca del muto. Ci sono linguaggi espressivi che ancora dobbiamo approfondire e migliorare. Buona parte delle le nostre visioni non riescono poi a tradursi in un qualcosa di giocabile mantenendone inalterato l’impatto. E questo non tanto per eventuali limitazioni dell’hardware, quanto perché molti di noi game designer sono ex programmatori o grafici. Ora invece dobbiamo essere registi, sceneggiatori, coreografi e anche ingegneri informatici, perché dobbiamo capire come sfruttare al meglio l’hardware a nostra disposizione.

"Siamo come bambini alle prese con un mondo ancora molto complesso e stiamo facendo gli stessi errori dei registi di sessant’anni fa."

Il risultato è che siamo come bambini alle prese con un mondo ancora molto complesso e stiamo facendo oggi gli errori che hanno fatto i registi sessant’anni fa. Ad esempio in Fable: the Journey mi sono immaginato certe sequenze, poi quando le ho messe in pratica mi sono accorto che c’erano troppi discorsi, troppi tempi morti. Se guardi un film o una serie TV ti accorgi che i dialoghi sono una parte del tutto, non il tutto. Non c’è una telecamera fissa su uno che parla per cinque minuti di fila e che spiega per filo e per segno in cosa consiste la missione da compiere. Nei videogiochi i dialoghi spesso sono privi di stile, grossolani: c’è ancora molto da fare dal punto di vista narrativo.

Quindi, tornando alle affermazioni di Kojima, sono d’accordo con lui ma più dal punto di vista delle nostre capacità di game designer che non delle possibilità espressive offerte dalla tecnologia di oggi.

Eurogamer: Laddove tu ne fai un discorso creativo, John Carmack, in una recente intervista apparsa anch’essa su Eurogamer.it, ne fa un discorso tecnico. A suo dire, infatti, nessuno può dire di riuscire a sfruttare la console attuali al 100% delle capacità perché gli manca la visione d’insieme dell’hardware. Come la vedi?

Peter Molyneux: Ha assolutamente ragione, sono d’accordo con lui.

Avatar di Stefano Silvestri
Stefano Silvestri: Il suo passato è costellato di tutto ciò che è stato giocabile negli ultimi 40 anni. Dal ’95 a oggi riesce a fare della sua passione un mestiere, non senza una grande ostinazione e un pizzico di incoscienza.

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