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La storia dei giochi musicali

Passato, presente e futuro delle sette note.

E così arriviamo al 1996, anno in cui una pop star giapponese si trasforma in game designer e dà una scossa al genere con PaRappa the Rapper, un gioco di grande successo per Playstation che narra la storia a cartoni animati di un cane che vuole diventare rapper, e viene aiutato nella sua missione da una cipolla e da una rana rastafariana.

Nel corso di quell'anno Konami, grazie alla sua divisione espressamente dedicata a questi titoli, la Bemani, sfrutta il successo generato da PaRappa per pubblicare Beatmania, il primo di una lunga serie di titoli musicali di grande impatto nelle sale giochi giapponesi.

Grazie a una finta console per DJ, Beatmania obbligava i giocatori a premere il tasto giusto al momento giusto, pena la perdita di bonus, moltiplicatori vari e, quando gli errori erano troppi, la fine della partita, stabilendo una volta per tutte le basi del sottogenere rhythm action.

Insieme, PaRappa e Beatmania aprirono i cancelli all'invasione di titoli musicali in Giappone, e via via nel resto del mondo. E mentre in molti si limitarono a copiarli, alcuni si lanciarono verso nuove e interessanti forme sperimentali, creando Rez e Vib-Ribbon. Ma chi portò veramente avanti la fiaccola dell'innovazione fu sempre Bemani, che nel 1998 creo il tappetino su cui ballare con Dance Dance Revolution, il controller fatto a chitarra l'anno successivo con Guitar Freaks, e trasformò il karaoke in un videogame con Karaoke Revolution, nel 2003.

Moondust, il bizzarro capostipite dei giochi musicali.

Proprio Karaoke Revolution e i suoi fratelli furono responsabili del successo di Harmonix, una piccola software house del Massachusetts che, dopo aver giocato ad ogni possibile titolo musicale giapponese, ne intuì le potenzialità e comprese che i videogame erano il mezzo giusto per fornire al grande pubblico esperienze musicali innovative.

I due primi prodotti di Harmonix, Frequency del 2001 e Amplitude del 2003, furono acclamati dalla critica ma ebbero uno scarso successo commerciale. Quindi, nel 2005, la compagnia mise da parte l'idea di creare strani e complessi giochi musicali che non incontravano i favori del pubblico, e partorì l'idea di Guitar Hero, con la sua chitarra plasticosa e la promessa di farci diventare i nuovi dei del rock. Il successo fu planetario, totale, e in poco tempo il gioco fece la sua comparsa in talk show, film e serie tv. "Fu un enorme balzo in avanti per i giochi musicali", dice LoPiccolo, "un'esperienza unica fatta di canzoni conosciute e meccaniche che non richiedevano grandi spiegazioni".

Per la decade successiva gli strumenti musicali dominarono la scena come i Kiss a una sagra paesana. Dopo aver lavorato ai primi due Guitar Hero, Harmonix si mise per conto suo e creò la serie rivale, Rock Band, che introduceva il basso, le tastiere e la voce. Nel 2008 la popolarità di questo genere era così alta che Activision cominciò a pensare di chiedere dei soldi alle case discografiche che volevano includere i propri brani in Guitar Hero, piuttosto che pagare i diritti di sfruttamento.

Poi, così com'era nata, la bolla scoppiò.

LA SITUAZIONE OGGI

La caduta dei giochi musicali basati sugli strumenti finti è stata quasi verticale. Nel 2009 il quinto capitolo di Guitar Hero ha venduto 499.000 copie nel primo mese, mentre nello stesso periodo del 2010 Guitar Hero: Warriors of Rock ne ha vendute meno di 100.000. DJ Hero 2 ha fatto persino peggio, e Rock Band 3 è stato altrettanto vittima di vendite deludenti. Ma mentre analisti ed esperti del settore si affrettavano a decretarne la fine, sono sorti due ottimi motivi per credere che questo genere sia tutt'altro che morto.

La rivoluzione di Konami nasce su un tappetino.

Il primo è il cambio di distribuzione, da quella classica all'online, che è iniziato nel 2007 quando Guitar Hero, Rock Band e Singstar sono approdati all'attuale generazione di console. "Il genere si è spostato rispetto alla distribuzione classica", spiega LoPiccolo, facendo notare che ha distribuito più di 100 milioni di canzoni dal suo store online. E nel frattempo SingStar offre non solo nuovi brani attraverso il SingStore, ma permette agli utenti di caricare i video delle loro performance su un servizio simile a Youtube, My SingStar Online.

"È bellissimo vedere quanto sia eterogeneo il nostro pubblico," dice Chris Bruce, senior producer dei creatori di SingStar, i Sony London Studio. "Ci capita di tutto, dai bambini che cantano da soli fino alle famiglie intere, nonni e bisnonni inclusi. Alcuni fanno delle performance veramente professionali, altri si travestono o indossano parrucche assurde, o qualunque cosa gli capiti intorno. E il fenomeno non sembra subire il minimo rallentamento, il che testimonia la longevità dei giochi musicali".

L'arrivo dei nuovi controller basati sul movimento è il secondo fattore che ha ridato linfa vitale a questo genere. Fino al 2009 bisognava possedere uno scomodo e impreciso tappetino per ballare veramente, ma poi Ubisoft ha deciso di provare qualcosa di nuovo ed è nato Just Dance. L'idea è quella di un simulatore di ballo che ignori i piedi e si concentri sui movimenti del Wiimote, il che ha reso questo titolo un successo mondiale, in grado di vendere milioni di copie e di dare il via a una lunga serie di imitatori.

"È un'evoluzione naturale: prima i movimenti venivano rilevati col tappetino, poi con un controller da tenere in mano, e infine col Kinect", afferma Harman di Wired Production, attualmente a lavoro su We Dance, un simulatore di ballo che combina un tappetino e il riconoscimento dei movimenti.

I giochi musicali dunque, sembrano decisamente ben lontani dal suonare il proprio requiem. "La musica è un'esperienza potete e universale, capace di coinvolgere persone con ogni tipo di background", spiega LoPiccolo. "Abbiamo un desiderio innato di connetterci più profondamente con ciò che stiamo ascoltando, che si può esprimere tenendo il ritmo con due dita che battono sul volante, intrattenendoci con un gioco musicale o cantando e ballando sulle note che escono da una radio".