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Che fine hanno fatto i jRPG?

Storia di un mercato in costante evoluzione.

Lo stesso Inafune di Capcom, dichiarò già nel 2009 una verità tanto triste quanto evidente: "Il Giappone è finito. La nostra industria dei videogiochi è giunta al termine". Parole forti, specchio di un momento crisi sotto gli occhi di tutti, ma a cui nessuno sembra in grado di porre rimedio.

Che fine hanno fatto la creatività e la profonda introspezione psicologico-emotiva che contraddistinguevano i prodotti sviluppati nella terra del Sol Levante? Quanti sono purtroppo pochi i prodotti che possono essere definiti degni rappresentati di quella filosofia "Made in Japan" che, dagli anni '80 all'inizio dello scorso decennio, faceva rima con qualità, coinvolgimento e intensità?

E la risposta, purtroppo, è che l'estremo ed eccessivo conservatorismo che da sempre caratterizza il Giappone, non solo in ambito videoludico, è passato dall'essere una caratteristica distintiva al diventare, purtroppo, un peso insostenibile... un'arma a doppio taglio che solo adesso sta cominciando a ferire la mano di chi, fino a pochi anni fa, sembrava essere immune alla sua lama affilata.

Alla base di tutto vi è infatti quella che potremmo definire come un'eccessiva "occidentalizzazione", una sorta di ossessione che ha spinto molti game designer a rifiutare i canoni storici, culturali e di sviluppo che hanno sempre contraddistinto il mercato orientale, al fine di perseguire la conquista del mass market. E questo, duole dirlo, ma non poteva altro che scatenare un triste processo involutivo.

Le speranze degli amanti dello stile orientale sono legate a questa improbabile coppia di amici.

La crisi economica ha senz'altro giocato in ruolo determinante in questo netto cambio di tendenza, ma al tempo stesso non può essere considerata come una valida scusante per quella che è a tutti gli effetti una sostanziale perdita di identità, personalità, profondità e tradizione da parte di quella fondamentale "porzione" dell'industry contemporanea che fino a pochi anni fa era vista come il fiore all'occhiello dell'intero mercato videoludico.

In passato ci è capitato più e più volte di vedere sviluppatori occidentali ispirarsi, spesso in maniera ben poco velata, ai loro colleghi orientali, ma negli ultimi anni si è verificata una significativa inversione di tendenza che, a dirla tutta, non sembra aver portato particolari benefici alla totalità dei videogiocatori e certamente non agli appassionati di giochi di ruolo.

Le cause di questo sono molteplici. Prendiamo ad esempio quello che è stato definito da molti come "l'effetto Halo", ovvero una vera e propria rivoluzione degli FPS capace di riportarli all'apice del successo e di renderli uno dei principali generi del mercato videoludico contemporaneo, se non il primo in assoluto.

In passato gli FPS erano, sì, amati da molti, ma non godevano della popolarità che, al giorno d'oggi, li pone come uno dei generi dominanti, cosa che si può facilmente capire limitandosi a osservare il numero degli sparatutto in soggettiva presenti nei negozi, confrontandola poi con un'altra categoria a caso.

Senza capolavori come il remake di Chrono Trigger, la situazione sarebbe drammatica per gli amanti dei jRPG.

Ma l'ascesa degli FPS è anch'essa strettamente legata ad un altro fattore, ovvero il multiplayer. Grandi responsabilità di quest'epoca di cambiamenti, se di responsabilità possiamo parlare, dipendono infatti proprio dalla progressiva crescita del multiplayer, o per meglio dire, dalla sempre maggiore portanza datagli da noi giocatori, una tendenza, questa, che ha inevitabilmente tagliato le gambe a tutte quelle categorie videoludiche che, per le ragioni più diverse, non hanno mai potuto giustificare al loro interno un comparto online. jRPG in primis, ovviamente.

Analizzando le più recenti annate non possiamo infatti non notare come il multiplayer sia passato dall'essere un "surplus" al diventare una parte fondamentale di qualsiasi prodotto, spesso a discapito del single player, e di certo questo non poteva portare grandi benefici a una categoria che ha sempre fatto del singleplayer la sua colonna portante, la sua anima e il suo credo assoluto.

La mia delusione per alcuni aspetti del panorama videoludico contemporaneo è senz'altro palese, e sebbene come detto il DS ed in parte PSP e Wii siano stati fin'ora in grado di alleviare un po' della mia insofferenza, non posso negare di essere un po' preoccupato per il futuro dell'intero settore.

Il rischio che questa ossessione per il "mass market" possa portare ad un'ulteriore opera di semplificazione è dietro l'angolo e, beh... se ciò dovesse verificarsi, confesso che potrei seriamente considerare la possibilità di appendere il pad al chiodo.