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Studiare con i videogiochi - editoriale

"La scuola è piena di libri senza giochi."

Ancora una volta vedere i videogiochi soltanto nella loro sfera dell'intrattenimento è un grande errore. Il riferimento è al Discovery Tour, modalità di gioco di Assassin's Creed: Origins (gratuita per chi già possiede il gioco e in vendita separatamente a €19,99) in cui è possibile esplorare l'Egitto, le piramidi e comprendere meglio l'ambientazione storica impersonando i vari avatar, da Bayek a Cleopatra. Niente gioco, soltanto apprendimento pur con tutte le caratteristiche che definiscono un'esperienza interattiva. Visite guidate che, spiega Ubisoft, andranno dai 5 ai 25 minuti ciascuna.

Sciocchezze e futilità: meglio un museo o aprire un vecchio libro, asseriscono i contrari. Nulla di più sbagliato: da tempo i videogiochi vengono visti come uno strumento di grande importanza per ristrutturare un sistema educativo che, al giorno d'oggi, non riesce più a stare al passo con modernità e tecnologia. Non soltanto quando i videogiochi interpretano un ruolo attivo, ma anche come esempio da cui estrarre le caratteristiche di un nuovo modello di insegnamento.

L'eterogeneità del proprio team richiesta dai giochi online per affrontare le missioni più dure è una rappresentazione videoludica delle strategie aziendali nel mondo del lavoro.

Ciò che compone il videogioco, com'è stato detto più di una volta, è qualcosa di unico: interazione, immagini, immedesimazione, parole e sonoro uniti in un'esperienza dalle molteplici sfumature. Il videogioco è versatile e lo abbiamo già considerato quando abbiamo trattato il suo rapporto con il mondo militare.

James Paul Gee, Presidential Professor of Literacy Studies al Mary Lou Fulton Teachers College dell'Università dell'Arizona, definì il modo in cui i videogiochi funzionano e insegnano i propri meccanismi agli utenti come un'esperienza che gli ha cambiato la vita. Gee ha scritto libri come "What Video Games Have to Teach Us About Learning and Literacy" e "Women as Gamers: The Sims and 21st-Century Learning".

"Non sono i giochi a dover entrare nelle scuole", spiega Gee a Eurogamer.it, "ma sono i principi di insegnamento che usano che ci devono arrivare. Quando i giochi finiranno nelle scuole, dovranno arrivarci come insieme dei tanti strumenti e pratiche disegnati in modo da essere esperienze di apprendimento basate sulla soluzione di problemi, esperienze in cui ogni strumento e ogni pratica sono usati al loro massimo in un dato contesto".

È lo stesso Gee a identificare alcuni dei principali motivi per cui i videogiochi e alcune delle loro peculiarità sono strumenti ideali da cui prendere ispirazione per migliorare l'apprendimento e l'insegnamento. "Per prima cosa", spiega "si concentrano sulla soluzione di problemi. Poi, creano la motivazione dando ai giocatori la possibilità di scegliere, di agire e anche di plasmare le cose quando giocano. Inoltre, ordinano i problemi in un modo che porta l'utente a creare ipotesi credibili riguardo alla soluzione del problema, che vadano sia bene per quello specifico livello sia come fondamenta per il nuovo apprendimento che seguirà nei livelli successivi: creano un percorso d'apprendimento, non percorsi labirintici che hanno l'unico risultato di essere confusionari".

Gee sta studiando e promuovendo le modalità in cui i videogiochi (e le loro caratteristiche portanti) possono essere usati come esempio per migliorare l'apprendimento e l'insegnamento.

Ci sono però anche altri vantaggi, come sottolinea Gee: "i videogiochi offrono un continuo feedback operativo in molte forme diverse. Trattano il fallimento come una forma valida di assunzione del rischio e di apprendimento, non come una valutazione o un'analisi del valore del giocatore. I giochi non sono ottimi soltanto perché sono giochi. Lo sono solamente quando sono ben disegnati e vengono messi in un giusto contesto in cui le funzionalità di design sono sfruttate in modi che portino frutti e siano utili nella vita".

Nel 2012 Gee in prima persona fece due esempi concreti: World of Warcraft e Portal. Il primo lo conosciamo tutti: un gioco online dove i dungeon più difficili devono essere affrontati in gruppo, pena il fallimento della missione. Come ha evidenziato Gee, il gruppo di avatar deve essere variegato; ciascuno deve possedere differenti abilità che siano complementari a quelle dell'altro e, in più, deve anche avere una conoscenza generale del mondo di gioco tale per cui le capacità e le caratteristiche dell'altro personaggio gli siano note.

Detto così suona molto più affascinante e sapete perché? Perché così funziona anche il mondo del lavoro. Le aziende realizzano e mettono in atto strategie basandosi su team cross-funzionali: persone che abbiano competenze e conoscenze differenti, ma che collaborando possano rappresentare un "super team". Senza bisogno di libri e di altre lezioni teoriche, i videogiocatori mettono in pratica (a un certo punto, dopo ore e ore di esercizio, in modo assolutamente naturale) strategie che trovano profondo riscontro nella realtà pratica.

Le spiegazioni del funzionamento di Portal rasentano il linguaggio accademico.

Riguardo a Portal, Gee parlò invece di fisica. Ovviamente quella di Portal è una fisica basilare e specifica per quel mondo di gioco. Ciò che è interessante far notare da esperienze interattive come quelle di Portal, invece, sono le discussioni che emergono sui forum specializzati e nelle comunità di utenti che intendono espandere il discorso su quello specifico mondo virtuale o spiegarne il suo funzionamento.

Nella pagina inglese di Wikipedia sul gioco, spiegò Gee, "ci sono collegamenti, come quello alla quantità di moto, alle definizioni reali dei testi di fisica. È ciò che le persone definiscono linguaggio accademico o ciò che io definirei linguaggio specializzato."

"Quel giorno", spiega Gee "fui particolarmente colpito da un problema nella nostra scuola: è piena di libri senza giochi". Il riferimento riguarda alle potenzialità, nelle esperienze interattive, di riuscire a immergersi e provare attivamente il mondo a cui le parole (intese come definizioni, spiegazioni e concetti) si riferiscono, come quelle negli ormai scomparsi manuali che spiegano i comandi di un gioco. Senza un'esperienza diretta comprendere tali parole può essere difficile. Ciò può essere applicato anche all'apprendimento della matematica, della fisica e di altre materie.

"Non esiste qualcosa come un linguaggio tecnico e incomprensibile. Esiste soltanto un linguaggio che non si riesce a comprendere perché non si è vissuto nel suo mondo, non si è giocato al 'suo gioco'. Di conseguenza noi potremmo rivedere il sistema, per la prima volta nella storia dell'istruzione, se avvicinassimo i giochi ai manuali e non intendo semplicemente i videogiochi. Se portassimo le attività, la risoluzione dei problemi, la vita dei mondi della chimica e dell'algebra, spronando i ragazzi a realizzare delle cose con quelle nozioni; considerarli strumenti per estrapolare nuove opportunità: è questo il gioco. Se riuscissimo a introdurli nella scuola, allora ai ragazzi piacerebbero come Portal".

Gli insetti sono lontani dalla cosa più piccola che potete impersonare in Everything.

Oltre a ciò, ci sono molteplici esempi di iniziative in cui i videogiochi diventano strumenti di apprendimento. Firaxis Games, in collaborazione con GlassLab, ha realizzato una versione di Civilization (chiamata CivilizationEDU), specificamente pensata per obiettivi educativi. Viene usato un algoritmo di analisi dell'apprendimento per valutare le capacità degli utenti di risolvere i problemi.

Qualcosa di simile ha coinvolto anche Minecraft. D'altro canto Microsoft ha speso 2,5 miliardi di dollari nel 2014 proprio perché ha intravisto nel gioco uno strumento a 360 gradi. Minecraft: Education Edition (non hanno molta fantasia con i nomi di queste versioni) viene usato per insegnare chimica, scienze informatiche oppure per raccontare la pista dell'Oregon.

Senza dimenticare esperimenti diversi come Everything, il cui lungo trailer è persino valso una nomination agli Oscar nella categoria "miglior cortometraggio d'animazione". Un gioco che fonde metafisica e senzo dell'esistenza, arrivando fino agli elementi molecolari che compongono ogni cosa, raccontato usando frasi del filosogo Alan Watts. Un perfetto esempio di come la fusione dei macroelementi di un videogioco (immagini, sonoro, musica, interazione, etc) siano la marcia in più di questo medium rispetto a libri, cinema o tv (senza paragoni in termini qualitativi).

Anche spulciando nel panorama italiano, però, possiamo trovare realtà che si sono dedicate completamente all'educazione e all'istruzione attraverso i videogiochi. È il caso di Ticon Blu (nata nel 2003 con il nome di Koala Games), fondata da Ivan Venturi e Max Di Fraia. Uno dei risultati migliori di questa società è stato Drive, simulazione di guida usata per l'educazione stradale particolarmente diffusa nelle scuole dell'Emilia Romagna.

Con Minecraft si possono insegnare chimica oppure le scienze informatiche.

L'idea che la storia possa essere insegnata attraverso un percorso narrativo come in Assassin's Creed: Origins, insomma, non soltanto è accattivante, ma è un ulteriore esempio delle potenzialità esterne all'intrattenimento che i videogiochi possono esprimere.

"Gli esseri umani imparano dalle esperienze", conclude Gee "le archiviano nella loro memoria a lungo termine e le usano, insieme ai pezzi che le compongono, per simulare piani, possibilità e conseguenze future prima di agire. Il buon apprendimento deriva da un'esperienza ben disegnata, dove il lavoro di design sia stato fatto originariamente da insegnanti e game designer (e altre tipologie di designer) e in cui, alla fine, sia svolto da autodidatti che hanno imparato come essere sia insegnanti di se stessi sia designer".