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Dragon Ball Z: Kakarot - recensione

L'oscurità splendente diverrà con te... perché!

Italia, estate del 2000. Le scuole volgono al termine, ma centinaia di migliaia di bambini e ragazzi, prima ancora di riversarsi nei parchi e sulle spiagge, corrono verso casa per adempiere all'immancabile rituale quotidiano. Ore 13 e 30: il vate Giorgio Vanni intona la sigla di Dragon Ball Z secondo Italia 1, un vero e proprio inno alla spensieratezza che i più esperti ricorderanno anche nella rarissima versione techno. In quel periodo, Goku si trova sul pianeta Namecc, pronto a combattere per salvare i suoi compagni ancora una volta. E proprio durante una di quelle giornate soleggiate, si verifica uno degli eventi televisivi più influenti del decennio: il giovane protagonista si trasforma per la prima volta nel leggendario Super Saiyan.

Da allora, nulla è stato più lo stesso. Chi non ha mai provato a scagliare una Kamehameha? Chi non ha alzato le mani al cielo di fronte al televisore per donare la propria energia all'eroe della terra? Fra decine di tentativi fallimentari di utilizzare il teletrasporto e battaglie improvvisate assieme agli amici d'infanzia, nelle scuole di tutto il paese ci si chiedeva incessantemente se Kakarot sarebbe riuscito a sconfiggere Freezer, si discuteva del prescelto che avrebbe dovuto annientare Cell, si fantasticava sulla potenza e il colore della propria aura.

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Dragon Ball di Akira Toriyama, manga classe 1984, ha scolpito nella pietra le regole dello shōnen moderno mettendo su carta una perfetta sintesi fra botte da orbi e messaggi positivi, realizzando un fantastico vademecum filosofico e morale capace di accompagnare al meglio qualsiasi processo di crescita. E attraverso lo spot giapponese del videogioco Dragon Ball Z: Kakarot, Bandai Namco è riuscita a leggerci dentro, disegnando sullo schermo quello stesso turbinio di emozioni che ha segnato il nostro cammino assieme a Goku e compagnia. Insomma, di fronte al cuore l'età anagrafica conta meno di zero.

Andiamo dritti al punto: Dragon Ball Z: Kakarot è un'esperienza che vive di piccole cose. Non bisogna cercare l'anima del videogioco negli scontri all'ultimo sangue, nei tecnicismi o nelle sfumature del gameplay. Certo, ci si può avvicinare al titolo con fare circospetto diffidando, spesso a ragione, della classica trasposizione videoludica di manga e anime. Ma la verità è che quando si preme il pulsante start e parte l'indimenticabile opening originale “Cha La, Head Cha La”, Goku è già riuscito a fregarci ancora una volta.

L'incantesimo messo in piedi dai ragazzi di CyberConnect2 è lo stesso che permeava i primi videogiochi dedicati all'universo di Harry Potter: quando si ha occasione di visitare in prima persona luoghi storici come la Kame House, il pianeta di Re Kaioh e il piccolo cottage di Nonno Gohan, ciascun elemento del gameplay finisce per uscirne inevitabilmente ammorbidito e più accogliente. Ma, proprio come accaduto lungo le scalinate di Hogwarts, si tratta di un incantesimo molto, molto fragile.

Anche i veri uomini versano qualche lacrima di fronte alla storia di Dragon Ball. Majin Vegeta ne sa qualcosa.

Dragon Ball Z: Kakarot si pone l'ambizioso obiettivo di racchiudere fra i pixel del videogioco l'epopea dei Guerrieri Z, ovvero l'intera seconda serie animata tratta dall'opera di Toriyama, dall'arrivo del Saiyan Radish fino al tramonto del terribile Majin Bu. Inutile dire, quindi, che si tratta di una vera e propria fucina di momenti leggendari, dall'epica prima trasformazione di Goku fino al commovente sacrificio di Vegeta, una pellicola che si srotola senza sosta sullo sfondo dei combattimenti più iconici della saga.

Sono circa trenta le ore d'intrattenimento offerte dall'avventura, che al cuore è semplicemente una riproposizione in scala uno a uno delle quattro grandi minacce al centro dell'anime. I capitoli si susseguono come vere e proprie puntate, con tanto di narratore esterno e anticipazioni dell'episodio successivo, snocciolando interminabili cutscenes che reinterpretano i momenti chiave in modo più o meno riuscito, coprendo la maggior parte dell'intreccio ma glissando su qualche elemento considerato secondario, come ad esempio la vicenda ambientata nel futuro di Trunks che fa capolino solo nell'endgame.

Strano. Non c'è aggettivo migliore per descrivere il risultato del lavoro di CyberConnect2, software house che si è trovata per le mani una gigantesca gatta da pelare. Da una parte c'erano il rispetto per la mitologia dell'opera e la volontà di mantenere il focus sulla narrativa, mentre dall'altra la necessità di costruire un videogioco divertente e additivo. Ed è particolarmente strana la sensazione che si prova trovandosi di fronte a quella che non è altro se non una variante dell'anime in versione Unreal Engine 4, perlopiù destinata alla fruizione passiva.

Poter visitare luoghi storici come la Kame House o il Palazzo di Dio è l'essenza del titolo.

Fortunatamente, a uscire vincitrice dallo scontro è stata l'anima di Dragon Ball. Dietro il minimalismo delle strutture, delle vallate e delle metropoli si nasconde un profondo rispetto per il tratto dell'autore, e anche le animazioni più complesse durante i combattimenti rendono onore alle indimenticabili linee cinetiche del manga. Il comparto estetico, nei momenti che contano, sprizza Toriyama da tutti i pori, realizzando un perfetto tributo alla favola di Son Goku e, attraverso l'Enciclopedia Z accessibile in gioco, il più grande compendio mai dedicato all'universo delle Sfere del Drago.

Il problema è che, fra una sequenza cinematica e un volo su Namecc, arrivano anche i momenti in cui Dragon Ball Z: Kakarot si ricorda di essere un videogioco. Il sistema di combattimento, figlio della tradizione anime fighter in 3D, mescola elementi della serie Budokai Tenkaichi con le più recenti caratteristiche di Xenoverse, e l'amalgama non si discosta particolarmente dalla formula del button masher. Fra tempeste di colpi e tecniche speciali, l'obiettivo è quello di sovrastare l'avversario sfruttando al massimo schivate perfette, assist, inseguimenti e fendenti per spezzare la guardia.

Ma se la componente estetica è impeccabile e trae grande beneficio dalle animazioni e dalle arene distruttibili, lo stesso non si può dire della realizzazione tecnica. Le battaglie sono perlopiù un caos nel quale riempire di botte l'avversario prima che sia lui a fare lo stesso, e l'intero sistema di bilanciamento è costantemente diviso fra scontri di una semplicità disarmante e inspiegabili picchi nella curva della difficoltà, nemici più simili a raid boss che alla CPU di un picchiaduro, costellati di hyper-armor impenetrabili e rage mode infinite.

Purtroppo, le attività secondarie si contano sulle dita di una mano e spesso risultano nient'altro che filler.

Del resto, il sistema di progressione è legato a doppio filo con l'incedere della trama, e nonostante la deriva GDR assunta dall'esperienza open-world, l'unico modo per stare al passo con la forza combattiva dei nemici è proseguire nell'avventura. Insomma, se da una parte bisogna scordarsi il farming nonostante la presenza degli scontri casuali e delle attività secondarie, dall'altra è più che mai evidente la difficoltà emersa nel bilanciare l'equazione fra fedeltà narrativa, combat system e sfumature free roaming.

Quando non si scagliano onde energetiche, infatti, Dragon Ball Z: Kakarot alza il sipario su una completa riproposizione dell'universo della serie, per l'occasione trasformato in un parco di divertimenti a tema. Si può andare a pesca dietro casa di Goku, cacciare cervi nei pochi boschi accanto alla Capsule Corporation, fare una capatina all'arena del Torneo Mondiale, andare a ritirare un paio di Senzu da Korin e svolazzare fra una regione e l'altra in cerca delle Sfere del Drago.

Ed è proprio in questi segmenti che risiede l'essenza del titolo, nella possibilità di respirare l'atmosfera di Dragon Ball a pieni polmoni, di poggiare i piedi nei luoghi più iconici della serie, di sfrecciare nel cielo alieno vestendo i panni del principe dei Saiyan. D'altra parte, si tratta di un meraviglioso castello di carte destinato ad infrangersi non appena si prendono deviazioni considerevoli dal binario della trama, scoprendo un mondo che è sì affascinante ma che, purtroppo, fatica a prendere vita.

Il sistema di combattimento è una versione più che mai semplificata di quelli incontrati nella serie Budokai e in Xenoverse, ma riesce comunque a regalare emozioni.

Durante le scorribande sulla terra i nostri eroi sono costantemente presi di mira da robottini del Red Ribbon, Saibaiman, l'esercito di Freezer e poche altre varianti degli stessi nemici minori che siamo costretti ad affrontare più e più volte, praticamente ad ogni avvio di una Storia Secondaria, mentre le poche attività che non implicano il combattimento si riducono a semplicissime missioni di raccolta, una massiccia dose delle tanto odiate fetch quest che in questo caso varcano anche il confine della narrativa.

Il che è un vero peccato, perché gli sviluppatori avevano perseguito l'ottima intuizione di riportare in scena numerosi protagonisti dell'originale serie animata attraverso le attività collaterali. Lunch, Taobaibai, la banda di Pilaf, l'androide Numero 8 e tantissimi altri volti noti fanno spesso capolino fra un viaggio e l'altro, ma salvo rarissimi casi non riescono ad incidere sul giocato né sulla qualità dei contenuti, presentandosi come filler più che mai trascurabili. Dove, invece, riescono a lasciare il segno, è nell'interessante sistema di progressione rappresentato dalle Comunità.

Le Comunità non sono altro che piccoli alberi delle abilità che incarnano una determinata categoria di personaggi, come ad esempio combattenti, cuochi e insegnanti. Sbloccando i soliti noti del manga, è possibile inserirli in una determinata Comunità per accrescere le statistiche dell'intero cast, ed è bene tener conto del legame che intercorre fra figure adiacenti. Affiancando Piccolo a Gohan, giusto per citarne uno, si otterrà un considerevole bonus alle statistiche di entrambi, e lo stesso risultato si raggiungerà intrecciando gli insegnamenti del Maestro Muten con quelli di Shen della Scuola della Gru.

Non mancano momenti di intermezzo. Come dimenticare le avventure di Great Saiyaman?

La cura riposta in questo piccolo tabellone gestionale, d'altro canto, non è la stessa che traspare dal sistema di crafting dei veicoli e dagli altri apparati che fanno da sfondo all'esperienza open-world, e lo splendido mondo di Toriyama finisce per esser nient'altro che il palcoscenico su cui si svolge la vicenda: una scenografia bellissima da vedere ma non altrettanto interessante da esplorare e toccare con mano.

Per quanto strano possa suonare, Dragon Ball Z: Kakarot è al tempo stesso molto vicino ed estremamente lontano dall'essere il miglior videogioco dedicato alla leggenda di Goku. Ciascuna buona intuizione avrebbe potuto essere realizzata meglio, e questo pensiero è una costante che emerge fin dalle prime battute del gameplay per poi esplodere nel comparto endgame, segmento che più di ogni altro soffre dell'assenza di qualsivoglia modalità versus, dell'impossibilità di incarnare buona parte del cast e delle sopracitate mancanze fra le attività, i minigiochi e la componente GDR.

È uno scrigno luccicante che sembra custodire gran parte della magia di Dragon Ball, ma una volta affondate le mani nel tesoro ci si trova a stringere fra le dita sia diamanti che carbone. Le gemme preziose, manco a dirlo, sono le stesse che gli appassionati hanno imparato ad amare fin dall'esordio del manga, mentre a deludere sono proprio gli elementi videoludici, che non riescono ad aggiungere granché ad una formula ormai divenuta parte della storia.

In definitiva, Dragon Ball Z: Kakarot è un titolo imperdibile per qualsiasi fan dell'opera originale, un tripudio di fanservice che non può far altro che accontentare chiunque fosse in cerca di un nuovo viaggio attraverso la Serie Z, giocatori volenterosi di salutare ancora una volta l'eroe della terra con un largo sorriso dipinto sul volto. Ma se quello che stavate aspettando era il miglior titolo dedicato all'universo di Dragon Ball, dovrete pazientare ancora un po'.

7 / 10