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Duri a morire?

Il declino della difficoltà nei videogiochi.

Dopo essersi evoluti quasi senza controllo a cavallo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, i videogiochi hanno quindi fermato la loro corsa limitandosi a sfidare l'abilità manuale del giocatore e non più quella mentale. Non riuscire a compiere una determinata azione perché la nostra coordinazione occhio mano non è all'altezza della situazione è un problema di poco conto: basta regolare la difficoltà al nostro livello di abilità (o ripetere un passaggio fino alla nausea) e le situazioni si sbloccano da sole.

Non è un caso se negli ultimi anni quasi tutti i titoli di maggior richiamo concedono la possibilità agli appassionati di regolare la difficoltà in corsa semplicemente entrando in un menu e tornando in partita.

Riuscire invece a mettere il giocatore in condizione di superare le avversità che non siano il combattimento vero e proprio usando solo intuizione, intraprendenza e capacità di orientamento è invece tutto un altro paio di maniche. Immaginate un Fallout 3 senza il segnalino della vostra destinazione: nella realtà, a meno di disporre di un dispositivo GPS, sarebbe impossibile comportarsi in quel modo.

I marines di Half-Life sono tra i nemici più ostici mai introdotti in un videogioco.
Operation Flashpoint è uno dei free roamer più ostici di sempre. Padroneggiarlo è affare per pochi.

Il mondo reale è fatto di mappe o ricerca d'informazioni che conducono a un luogo preciso. Nel caso ci si muova all'aperto l'uso della bussola è altrettanto essenziale ma rimane il fatto che frecce direzionali e indicatori di obiettivo sono una scelta di gameplay che da sempre caratterizza i free roamer.

La praticità di queste scelte è indubbia ma ci si rende conto di quanto sia limitante se in precedenza si è giocato a titoli che davano semplici indicazioni al giocatore sui luoghi da raggiungere rendendolo autonomo nel farlo.

Una missione dì Operation Flashpoint ad esempio prevedeva la fuga da un campo di prigionia e per raggiungere il punto d'estrazione occorreva leggere un documento che spiegava come orientarsi con le stelle: quelli che ci riuscirono rimasero legati alla serie dei Bohemia Interactive per sempre.

Ciò sarebbe un qualcosa di impensabile al giorno d'oggi in cui, anche in un titolo dall'ambientazione limitata come Dead Space, è possibile premere un pulsante per disegnare una linea fluorescente a terra che ci indica dove andare. Pensate solo a quante opportunità in termini di divertimento (e longevità) vanno perdute perché non si vuole mettere il giocatore in condizione di progredire esplorando con attenzione il mondo che lo circonda.

Certo, il rischio di rimanere bloccati è alto ma se ciò accade è perché gli sviluppatori non sono stati in grado di preparare il terreno a questo approccio con le dovute attenzioni.

Oltre al come muoversi, anche la scoperta del come portare a termine una determinata azione è il secondo elemento che negli ultimi tempi si è andato perdendo. Anche questa è una scelta di design che negli anni passati ha dato vita a videogiochi memorabili, in cui la soluzione di enigmi e l'uso dell'inventario erano alla base dell'indipendenza concessa al giocatore nel risolvere le situazioni più ingarbugliate.

Portal 2 promette di essere uno dei migliori puzzle game della sua generazione: sarà accessibile a tutti?

È chiaro come da tempo la componente a enigmi sia ormai minima: se escludiamo i pochi sviluppatori indie che non hanno problemi ad azzardare puzzle game nella loro interezza come Machinarium e Cogs, o rare perle tripla A come Portal, la scelta è quella di mettere il giocatore in condizione di non dover capire come fare a risolvere un enigma, abbattere un nemico, attraversare un livello.

Se fino a Resident Evil 4 Capcom ha continuato a riproporre i soliti medaglioni e stemmi da piazzare in nicchie e alcove, ciò indica solo la volontà di semplificare ulteriormente schemi di gioco ormai collaudati che non vanno oltre l'attivazione di leve o pulsanti.

Anche in questo caso la perdita della complessità e la conseguente difficoltà oggettiva è evidente ma nulla fa pensare che si possa tornare indietro se non con qualche titolo di grande successo che convinca gli sviluppatori del fatto che la massa dei giocatori è pronta per qualcosa di più evoluto.

E qui torniamo alla domanda nel cappello introduttivo: i videogiochi oggigiorno sono ancora difficili? Evidentemente sì, se appassionano un numero esponenzialmente più alto di persone di quanto non accadeva in passato: la convinzione del fatto che potrebbero essere strutturati per testare le nostre capacità a un livello molto più alto rimane e ci spinge a tenerci allenati in attesa dell'arrivo, anzi, del ritorno della sfida, quella vera.