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Duri a morire?

Il declino della difficoltà nei videogiochi.

Già, ma perché titoli del genere non avrebbero mercato oggi se dieci anni fa la loro pubblicazione era attesa con trepidazione da schiere di fan desiderosi di mettere le mani su quelle che a tutti gli effetti erano e restano perle di programmazione?

Per il significato della parola stessa "mercato". I volumi di vendita degli anni Novanta sono nettamente diversi da quelli attuali e la diffusione del videogioco non vede più nel computer la sua piattaforma principe ma nelle console, ovvero macchine da gioco pensate per un pubblico massificato e non altrettanto specializzato quanto l'utenza PC, che richiedono un approccio più immediato al prodotto.

Non solo. Questa massificazione ha creato esigenze diverse da parte degli stessi produttori secondo il paradigma del gatto che si morde la coda. Per vendere di più si realizzano titoli sempre meno impegnativi in un circolo vizioso che ha portato alla situazione attuale: generi ingessati nella ripetizione di cliché che non vanno oltre l'introduzione di elementi di gameplay di secondaria importanza.

Midwinter, probabilmente il capolavoro di Mike Singleton.

I giocatori più allargati, che rappresentano la maggior parte degli acquirenti in tutto mondo, apprezzano questo genere di trend: non dedicano molte ore al divertimento videoludico perché non possono farlo, la loro soglia di frustrazione è molto bassa al punto ritenere anche il livello normale una sfida più che eccessiva per le proprie capacità. Prendete il loro numero e moltiplicatelo per la capacità di spesa e vi renderete benissimo conto di come l'era del videogioco difficile sia finita da un pezzo.

Alcuni tra gli hardcore gamer più accaniti tra voi diranno: "ma come finita da un pezzo? Ho provato ad affrontare i vari Dead Space, Crysis, Call of Duty e decine di altri titoli e sono morto decine e decine di volte prima di poterli completare". Vero, ma il livello difficoltà come è concepito oggi in sparatutto e action game è pensato per agire su pochi parametri essenziali: il numero di nemici, la loro letalità ed eventualmente le risorse a disposizione del giocatore per sopravvivere.

Shadow Man, l'ultimo action game ad abbandonare il giocatore a sé stesso nell'esplorazione?

La sostituzione salvataggio col checkpoint è funzionale all'educazione del giocatore che continua a schiattare sempre nello stesso punto: ogni salvataggio automatico posizionato poco prima di uno scontro importante permette di imparare subito dai propri errori e migliorarsi fino a che non riesce a superare il punto critico.

Andare avanti per inerzia non è sicuramente stimolante, visto che si tratta di una semplice ripetizione delle stesse azioni fino che non si acquisisce la capacità per superare la barriera che il gioco ci ha messo davanti. Il problema è che questo, almeno per il momento, pare essere l'unico modo che gli sviluppatori hanno per rendere i loro titoli più impegnativi.

A ciò si aggiunge un ulteriore stratagemma: appiattire drasticamente la curva di apprendimento dando al giocatore tutte le informazioni che gli servono per usare al massimo delle proprie possibilità il personaggio fin dall'inizio della partita. Il famigerato tutorial è ormai scomparso da tempo perché, di fatto, il primo livello di ogni gioco è una miniguida utile per far familiarizzare il giocatore con il sistema di controllo e le caratteristiche di eventuali armi o gadget particolari come, ad esempio, la gravity gun di Half-Life 2.

Grand Prix Legends era così difficile che anche Sir Jackie Stewart non riusciva a completare un giro senza schiantarsi.

L'approccio ripetitivo è quindi il più gettonato perché figlio di un certo modo di concepire i videogiochi stessi secondo un percorso lineare che, alle volte con qualche deviazione, porta comunque il giocatore da A a B senza particolari varianti sul tema. Sono i cosiddetti giochi quasi completamente scriptati che propongono livelli corridoio in cui le varianti sono poche e la stragrande maggioranza dei giocatori la affronterà nello stesso modo.

È abbastanza chiaro il fatto che sparatutto come Killzone, Gears of War o Modern Warfare permettono di prevedere con largo anticipo quali saranno le mosse del giocatore e di come questi si comporterà di fronte ai nemici: molto più complicato diventa gestire un ambientazione completamente sandbox come può essere quella di Far Cry 2 e lasciare ampia libertà di affrontare le missioni proposte.

La varietà di questo genere di situazioni è indubbiamente più soddisfacente di un titolo scriptato ma le variabili sono tali e tante che simularle completamente con i beta tester è impossibile perché il giocatore può arrivare da una direzione diversa sull'obiettivo, non essere in grado di trovarlo, non riuscire ad affrontare i nemici che trova in una determinata zona perché in precedenza non si è attrezzato adeguatamente portando a termine missioni secondarie o ha sprecato tutte le munizioni a disposizione in uno scontro precedente.