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La telecamera in spalla

L’evoluzione degli shooter attraverso la prospettiva.

Un recente articolo apparso su Eurogamer.it a proposito della componente multigiocatore di Dead Space 2 ci ha fatto riflettere parecchio su quella che è l'effettiva direzione in cui si sta muovendo il multiplayer ai giorni nostri e su come sta cambiando per tutte le piattaforme in relazione alla visuale utilizzata.

In particolare, colpisce come titoli che in passato sarebbero stati definiti semplicemente action game per il fatto che non erano pensati per essere giocati in prima persona ma in terza, abbiano preso in mano le redini di un mercato concentrato al 90% sul venduto delle console. Le restanti briciole di una torta immensa sono rimaste ad appannaggio del PC nelle vesti di piattaforma dedicata a determinati generi (FPS, MMO, RTS), conversioni dei titoli tripla A e paradiso per gli sviluppatori indipendenti.

Videogiochi che un tempo sarebbero stati proposti solo per la loro componente single player, oggi non arrivano sugli scaffali dei negozi senza una modalità multigiocatore dedicata. Un atto di benevolenza da parte dei publisher o una reale esigenza di portare gli action game moderni a un nuovo livello commerciale che permetta loro di prevalere sulla concorrenza rappresentata dagli FPS tradizionali?

Le risposte a questo quesito sono molteplici e prendono spunto da un assunto di base molto semplice: nelle intenzioni dei maggiori publisher, il successo di un gioco si costruisce attraverso la costituzione di una fedele base di fan capaci di mantenere vivo il prodotto attraverso la costituzione di una comunità di giocatori che quotidianamente si dedichi al gioco in questione.

Longest seller

L'esempio più calzante che attualmente si può fare riguarda Call of Duty nelle sue varie incarnazioni: a fronte di un single player di qualità ma molto breve, è stato proprio il multiplayer a consacrare il marchio di Activision come dominatore incontrastato dell'online per tutte le piattaforme su cui è stato pubblicato.

Pensate che la modalità in terza persona di Modern Warfare 2 sia un semplice extra per fare numero?

Il successo di cui ha goduto fino a questo momento è stato indiscusso, logico pensare quindi che molti publisher abbiano visto l'esperienza multigiocatore non solo come un valore aggiunto in termini di longevità ma anche il grimaldello con cui far entrare un gioco nell'immaginario collettivo del grande pubblico e perpetuarne il più a lungo possibile il successo commerciale con seguiti, add-on, DLC e quant'altro possa fare cassa sul lungo periodo.

Il fascino dei long-seller non diminuisce mai ed è questa la differenza cruciale che passa tra un Red Dead Redemption, che dopo un anno di scaffale si attesta ancora sui sessanta e rotti euro, e un Just Cause 2 già in fascia midprice.

Sotto questo punto di vista l'equazione è quindi molto semplice: realizzare prodotti della maggiore appetibilità e longevità possibile per quanto riguarda il mercato mass market e dedicarsi al concepimento di una componente multigiocatore in grado di consolidare questo genere di risultato. Come sempre più spesso accade, i cambiamenti nell'industry arrivano proprio quando qualcuno pensa di sdoganare un concept a un pubblico diverso per cui questo era stato pensato inizialmente.

Punto di partenza

Il punto di partenza della nostra analisi tornano ad essere gli FPS che all'inizio di questo decennio monopolizzavano l'attenzione del mercato relegando le console al ruolo di comprimarie, limitate all'utilizzo in salotto ma con scarse velleità multiplayer.

L'impianto scenico di Red Dead Redemption vive della terza persona.

L'obiettivo dei migliori sviluppatori era quindi chiaro: replicare questo successo con un modello che potesse avere la stessa appetibilità degli sparatutto, permettesse di introdurre elementi di gameplay più variegati delle semplici sparatorie e, soprattutto, che coinvolgesse quel genere di pubblico che dopo primi quindici metri avrebbe vomitato il cenone di Natale in preda a un attacco di mal di DooM.

Fu chiaro fin da subito che era necessario rivolgersi a un sistema di controllo del personaggio che si staccasse dalla prima persona e rallentare leggermente il gameplay che durante gli anni '90 aveva caratterizzato i primi sparatutto seminali per home computer come Duke Nuke'm, DooM e Half-Life.

Il percorso è stato piuttosto lungo ma alla fine siamo arrivati un'inversione di tendenza che ha portato alla realizzazione di un numero sempre maggiore di sparatutto bollati come action game solo perché si è deciso di percorrere la scelta della visuale in terza persona. Un trend che in futuro finirà per soppiantare definitivamente gli FPS tradizionali?