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Diablo III: le Auction House

Analizziamo il primo mercato basato su soldi veri in un gioco.

La compagnia ha sempre sostenuto che il Versus mode, date le milioni di combinazioni possibili, sarebbe comunque impossibile da bilanciare, e ritiene il PvP un divertimento estemporaneo che premia più la partecipazione che l’abilità dei giocatori.

Giustissimo, ma è indubbio che l’introduzione dei soldi reali rovinerà il divertimento a parecchie persone o, per vederla sotto un altro punto di vista, se Blizzard vuole che Diablo III sia un titolo irrilevante dal punto di vista del PVP, e spesso ha fatto capire che le va bene così, utilizzare valuta reale per gli scambi è il miglior modo per ottenere questo risultato.

Per certi versi, potremmo considerare l’asta come la vera modalità PVP di Diablo III. Un gioco nel gioco, difficile, appassionate e dedicato alle menti più raffinate, che secondo Pardo “aggiungerà un sacco di profondità”. Di certo renderà il trovare gli oggetti di valore ancora più eccitante, ma c’è anche il serio rischio che per molti Diablo III si trasformi in una sorta di lavoro o di gioco d’azzardo. Perché lo sappiamo tutti che là fuori ci sarà gente che ci passerà sopra le giornate, che finirà il conto in banca per colpa di Diablo III, e forse quelle persone potremmo essere noi. Dunque, queste benedette aste basate su valuta reale sono veramente in grado di rovinare il nostro rapporto con Diablo?

Non ci sarà alcun rimborso se gli oggetti verranno modificati da una patch o se li eliminerete per sbaglio. Così dicono le FAQ.

"Non credo che cambierà molto per i giocatori, perché è una situazione che si è già presentata”, sostiene Wilson. “In Diablo II gli oggetti avevano un valore monetario. Per i giocatori più hardcore era importante ottenere quegli item, il loro valore era reale. Credo che al momento ci troviamo di fronte a un semplice problema di percezione”. Una risposta logica, molto logica, da perfetto uomo d’affari, ma che non sembra tenere conto dell’impatto psicologico della possibilità di utilizzare i soldi che stanno nel nostro conto in banca per comprare e vendere oggetti di gioco, con pochi e semplici click. Ed è per questo che anche io mi chiedo se Blizzard sia pienamente conscia di ciò che ha fatto.

La risposta della casa californiana all’accusa di aver legalizzato una piattaforma per i farmer è sicuramente più convincente. È evidente che strappando il canale di distribuzione dalle loro mani, e forzandoli a competere con milioni di giocatori “regolari”, li indebolirà parecchio. D’altronde, come si dice?, se non puoi batterli unisciti a loro (e poi battili con la forza bruta dei numeri).

"Sul serio, la mancanza di funzioni come queste ha incentivato molto questi mercati paralleli”, dice Wilson, e Pardo aggiunge che, a differenza di WoW, i farmer che accumulano oro in Diablo III non sciupano l’esperienza degli altri giocatori.

E siamo infine arrivati alla domanda più importante: perché? Perché i giocatori l’avrebbero fatto comunque, o perché Blizzard voleva lucrarci sopra? Come sempre, la verità sta nel mezzo.

Vi sembrerà strano ma come modello di business potrebbe perfino piacervi, sulla lunga distanza. All’apparenza sembra una vile forma di sfruttamento ma se lo analizziamo bene, potrebbe anche essere uno dei modi più eleganti e meno intrusivi per ottenere una rendita costante da un gioco online.

Il fatto è che è totalmente e assolutamente opzionale. Sarà possibile spendere ore e ore a Diablo III senza neppure vedere l’asta, e se proprio volete dargli un’occhiata, ce n’è una versione basata sui gold. Ogni transazione è un beneficio sia per il giocatore che per Blizzard, e la partecipazione all’asta e interamente legata al capriccio del giocatore. Lo scambio fra utenti si lega in maniera armoniosa al gioco, ma non è assolutamente fondamentale.

È meno di cattivo gusto e meno dannoso per l’atmosfera del gioco della vendita di quegli innocui gadget disponibili per WoW come pet, cavalcature e così via. È meno forzato del vendere pezzi del gioco come contenuti aggiuntivi, che le persone possono solo scegliere di comprare o meno, senza provare. E, anche se può sembrare un’affermazione impopolare, probabilmente è assolutamente giusto e onesto che Blizzard ci guadagni qualcosa.

Tutti preferiremmo vivere in un mondo non basato sul vil denaro, ma Blizzard deve rientrare da un grosso investimento. Diablo III è costato un numero imprecisato di milioni di dollari, e verrà aggiornato e supportato online gratuitamente almeno per una decina d’anni. Inoltre, il nuovo Battle.net è nettamente migliore della sua precedente versione, assolutamente in linea con servizi come Xbox Live Gold, per il quale sborsate soldi da anni senza dire niente, e ciò che Blizzard chiede per tutto questo è una tassa fissa su un servizio opzionale “almeno finché non uscirà un’espansione senza la quale non potete vivere”, scherza Pardo.

Concludendo, Pardo ha perfettamente ragione quando sostiene che era un’evoluzione inevitabile. Il mercato nero delle transazioni è stato per anni un’orribile macchia sulla coscienza dei videogiochi online fin dalla loro nascita. L’unico modo per uscirne è accettarla, farla propria e riabilitarla. Era un’occasione che prima o poi qualcuno doveva cogliere, e forse è meglio che sia stato uno sviluppatore scrupoloso ed esperto come Blizzard, che tiene moltissimo alle sue proprietà intellettuali, ad aver avuto il fegato di farlo per primo.

Questo non vuol dire che dovete farvi piacere a tutti i costi l’idea. Ma Diablo III è senza dubbio il gioco giusto per provarci, e Blizzard è lo sviluppatore giusto per farlo.