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L'era degli abbonamenti è finita? - articolo

Star Wars: The Old Republic stenta, Guild Wars 2 vola: largo al Free to Play!

Mentre l'avvento di piattaforme sempre più potenti per la distribuzione in digitale continua a causare scompiglio nell'industry dei videogiochi, un modello di business, in particolare sembra più vicino degli altri al collasso: quello degli abbonamenti.

Poco meno di dieci anni fa, praticamente tutti i publisher del mondo sembravano interessati a una fetta di questa appetitosa torta, e spinti dal successo di World of Warcraft gettavano milioni di dollari nella creazione di universi online nel tentativo di guadagnare quell'introito mensile che aveva reso Blizzard la compagnia più ricca dell'industry.

Sappiamo tutti come sono andate le cose. Mentre Blizzard ha continuato a crescere, e a dispetto del recente declino WoW è ancora il gioco di maggior successo commerciale esistente, quasi tutti gli altri sono falliti miseramente. Alcuni titoli hanno osato differenziarsi in modo radicale e hanno trovato una loro nicchia, come EVE Online di CCP o lo stilisticamente magnifico Final Fantasy XI di Square Enix (che strizzava l'occhio alle console). La maggioranza però ha cercato semplicemente di copiare Blizzard e, al di là del livello di competenza messo in campo, non ha raggiunto i risultati sperati.

World of Warcraft ha fatto credere in questi anni che il modello dell'abbonamento potesse essere lo standard. I fatti dicono che era l'eccezione.

Oggi il modello basato sugli abbonamenti sembra arrivato alla fine. Star Wars: The Old Republic di EA è stato probabilmente l'ultimo, e assai costoso, tentativo. Meno di un anno dopo un lancio in pompa magna e uno stile "paga ora, paga di nuovo il prossimo mese", nelle prossime settimane il gioco completerà la sua transizione verso il free to play.

Escludendo forse Blizzard, nessun altro probabilmente in futuro si avventurerà ancora sulla strada degli MMO con abbonamento. Nel mercato di oggi, e anche in quello di domani, una mossa del genere non rappresenta più la fiducia in un modello di business ma piuttosto un testardo rifiuto di riconoscere la realtà.

Il sogno è finito, il sogno delle compagnie di piantare una conduttura direttamente nei conti correnti dei loro clienti per estrarre abilmente ogni mese una somma, in cambio di un gioco ormai diventato un servizio. Un profitto mensile fisso e prevedibile che dev'essere apparso meraviglioso nei grafici trimestrali dei risultati finanziari.

"The Old Republic di EA è stato probabilmente l'ultimo e assai costoso tentativo di gioco ad abbonamento"

World of Warcraft, dopotutto, non era dunque il modello del futuro. Questo non significa che sia stato un banale colpo di fortuna ma piuttosto un prodotto unico, le cui idee potevano essere clonate ma il cui successo non ha potuto essere replicato semplicemente copiando. A risvegliare da quel sogno ci ha pensato il modello free to play, il nuovo cucciolo per gli operatori e i creatori di MMO e mondi persistenti.

Questa nuova realtà è simile al sogno degli abbonamenti, dato che riguarda comunque la creazione di un flusso mensile di incassi ma i guadagni sono meno prevedibili dal momento che arrivano da una percentuale variabile di giocatori che decidono o meno di acquistare oggetti in-game.

Col passaggio al F2P, The Old Republic dimostra che il sistema degli abbonamenti può funzionare solo in rarissime occasioni.

Alcuni MMO vengono creati dal principio come titoli free to play, e in effetti questo è stato il sistema prescelto per anni nei territori asiatici. Si potrebbe quindi osservare che l'occidente più che innovare si stia mettendo al passo. Altri, molti dei quali di alto profilo come appunto Star Wars: The Old Republic, vengono adattati in questo senso dopo il fallimento del modello legato agli abbonamenti. A volte funziona, ma è rischioso.

Mantenere il gioco bilanciato dopo una simile operazione, infatti, è molto difficile e questo probabilmente spiega perché molti, creatori e giocatori allo stesso modo, si tengano alla larga da questi esperimenti. È più facile che le cose vadano male piuttosto che il contrario.

Allora il free to play è il futuro per il genere MMO? Potremmo affermarlo e in molti sarebbero d'accordo, ma è probabile che si tratti di una visione ingannevole, proprio come quella sperimentata da coloro che, dieci anni fa, prevedevano che il futuro dei videogiochi fosse indiscutibilmente legato agli abbonamenti mensili.

Ecco allora una previsione leggermente diversa: in un futuro prossimo, molto prossimo, il free to play diventerà la forma predominante di guadagno per i giochi online e gli MMO. Ovviamente predominante non significa "unico". Il modello è in realtà abbastanza elastico da includere varianti per ingolosire diverse categorie di giocatori o adattarsi a differenti tipi di gioco. Questo, tra parentesi, risponde a chi critica il free to play a prescindere, etichettandolo come un immorale sfruttamento del giocatore. Molte delle critiche dipendono in realtà da cattive esperienze vissute con un singolo gioco, o una specifica compagnia (e siamo sinceri, di solito è Zynga) e non riconoscono il fatto che il free to play è un concetto più ampio.

Livello qualitativo eccellente e abbonamento gratuito: dopo Guild Wars 2, difficile spiegare alla gente l'utilità di una sottoscrizione mensile.

"Mantenere bilanciato un MMO dopo il passaggio al free to play è molto difficile e questo spiega perché molti si tengano alla larga da questi esperimenti"

Entro pochi anni, in ogni caso, il sospetto e anche la speranza è che molti sviluppatori sperimenteranno con il modello di business, scegliendo e adottando gli aspetti del free to play più adatti ai loro prodotti e al loro pubblico, inventando allo stesso tempo nuovi concetti o soluzioni ibride.

Il recente lancio di Guild Wars 2 è un tipico esempio di ciò che sta succedendo. È di fatto un MMO, ma invece di richiedere un abbonamento mensile viene venduto come un gioco a prezzo pieno. A giudicare dai milioni di copie piazzate prima ancora del lancio, lo si può già definire un successo. Più avanti gli sviluppatori di ArenaNet avranno l'opportunità di realizzare guadagni extra con le microtransazioni, per rinominare i personaggi o acquistare oggetti puramente cosmetici, e con la vendita opzionale di pacchetti con nuovi contenuti.

Lo stesso World of Warcraft è un altro valido esempio. Dopo avere dominato il mercato dei videogiochi per una decade, mentre gli altri publisher si sforzavano di imitarne il successo, Blizzard ha cominciato a divertirsi introducendo proprio l'acquisto di oggetti in-game sfruttando così l'enorme popolarità del gioco.

Questi sviluppatori sanno come funziona il free to play, lo hanno evidentemente studiato e ci hanno trovato cose interessanti, ma hanno poi deciso che ai loro clienti si adattava meglio un modello ibrido che poteva godere di altri vantaggi. Naturalmente, una scelta di questo tipo implica una comprensione profonda della propria base di utenti. Compagnie come Blizzard e ArenaNet non prendono le proprie decisioni basandosi su affermazioni emotive come "Io odio il free to play!", ma fanno affidamento su una conoscenza totale dei propri prodotti, di chi li usa e di cosa è meglio per entrambi.

Lord of the Rings Online è uno dei vari titoli che Turbine ha convertito con successo al Free to Play.

Possiamo, e dovremmo, accettare il fatto che il free to play diventerà in varie forme il modello di business dominante per i giochi nei prossimi anni. Si tratta però, appunto, di un modello vario che non eliminerà totalmente tutto il resto. Per fare un esempio del tutto spassionato, le automobili Toyota sono al momento il modello dominante per via dell'efficiente rapporto qualità/prezzo.

"Possiamo e dovremmo accettare il fatto che il free to play diventerà il modello di business dominante per i giochi nei prossimi anni"

Questo, naturalmente, non impedisce a Porsche e Ferrari di circolare e nemmeno a chi preferisce la bicicletta. Solo perché un modello di business non è dominante, non significa che non possa funzionare e generare profitto per determinate tipologie di prodotto o di pubblico.

Suonare la campana a morto per il business degli abbonamenti può forse sembrare un po' prematuro. Chi ci dice, dopo tutto, che questo non sia ancora il modello più conveniente per alcune tipologie di consumatori, sviluppatori e giochi? Gli anni che stiamo vivendo vengono spesso etichettati come "transitori" per ciò che riguarda l'industria dei videogiochi, ma non è del tutto esatto.

Ciò a cui stiamo assistendo è una diversificazione. Il nostro hobby si allarga e i diversi modelli di business stanno semplicemente diventando potenti strumenti che sviluppatori e imprenditori possono usare nel modo più appropriato. È un futuro da accogliere a braccia aperte, non certo da temere.

Traduzione a cura di Mike Ortolani.

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Rob Fahey

Contributing Editor

Rob Fahey is a former editor of GamesIndustry.biz who spent several years living in Japan and probably still has a mint condition Dreamcast Samba de Amigo set.
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