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EA e la transizione dal gioco inteso come prodotto al gioco come servizio - editoriale

L'intolleranza dei consumatori verso le microtransazioni non cambia il fatto che tutti i grandi publisher stanno intraprendendo questo cambiamento.

Di tanto in tanto, un grosso publisher s'imbatte in grossi strafalcioni ed è obbligato a cambi di rotta dal punto di vista delle pubbliche relazioni; il fenomeno sembra essere ancora in atto, con i dirigenti ed i rappresentanti delle compagnie che sembrano incapaci di aprire bocca senza spararle grosse, ed ogni decisione importante finisce per essere poco pubblicizzata o accolta con sfavore. Al momento, è indubbiamente EA a trovarsi in questa situazione, a cominciare dalle microtransazioni di Battlefront 2, per passare poi al malcontento generato per la chiusura di Visceral Games; tutte le grosse compagnie comunque si sono trovate in situazioni simili a turno.

Questi cicli si ripetono per delle ragioni precise. Una di queste è indubbiamente rappresentata dai racconti e dalle discussioni: ogni qual volta qualcosa va storto per una compagnia, quest'ultima finisce nel mirino, le dichiarazioni ed i comunicati che sarebbero normalmente passati inosservati finiscono invece sotto i riflettori. Un'altra ragione è fisiologica e legata alle normali fasi a cui le compagnie vanno incontro: lassi di tempo abbastanza comuni nei quali le due audience che una compagnia deve servire (i consumatori e gli investitori) non sono gestite e assecondate in modo sufficientemente adeguato e competente.

Ogni grande publisher intraprende un cambiamento verso una nuova direzione che sa perfettamente che genererà il malcontento dell'utenza core.

Molte compagnie incontrano queste difficoltà di volta in volta perché le esigenze ed i desideri degli investitori sono spesso diametralmente opposti a quelli dei consumatori. I più grandi problemi comunque sorgono quando un'azienda fa una sorta di doppio gioco, presentando un quadro differente agli investitori da quello che invece mostrano ai consumatori tramite i PR ed il marketing.

Questa è praticamente la situazione in cui si è trovata nuovamente EA; costretta a essere conciliatoria e diplomatica nel parlare ai consumatori delle loot box e del suo impegno (o meglio dell'assenza d'impegno) nelle esperienze single player, e tutto questo dimostrandosi estremamente ottimista con gli investitori che vogliono delle prove dei progressi verso modelli di business che gli utenti core disprezzano apertamente.

I commenti del CFO Blake Jorgensen alla recente conferenza di Credit Suisse sono archetipi di questo genere di comunicazioni tra le corporate; da una netta negazione che la compagnia stia cambiando la sua strategia sulle microtransazioni in Battlefront 2, alle incuranti motivazioni sulla chiusura di Visceral legate alla popolarità in declino (ed essendo un CFO si riferiva agli incassi) delle esperienze lineari, Jorgensen ha parlato agli investitori in un modo completamente differente rispetto all'approccio adottato dal resto della compagnia nei confronti dei consumatori su questi problemi.

Potete ragionevolmente lamentarvi del fatto che questo approccio sia disonesto in sostanza; anche se le parole di ogni dichiarazione sono scelte in maniera ponderata in modo tale che il messaggio veicolato agli investitori non contraddica direttamente quello dato agli utenti, lo scopo è così evidentemente secondario che i consumatori hanno tutte le ragioni per sentirsi offesi. Pensiamo che valga comunque la pena di guardare oltre le motivazioni e le strategie dietro a questo fatto, non solo questo mese da dimenticare per EA in termini di comunicazioni, ma di guardare oltre considerando l'intera industria. Perché ogni grande compagnia sta adottando un cambio strategico simile, in una direzione che si sa perfettamente che creerà malcontento tra i consumatori core: prima o poi verrà anche il loro turno di stare nell'occhio del ciclone.

Il modello di business che ha sostenuto l'industria dei videogiochi per intere decadi sta iniziando a sembrare decisamente superato e controproducente.

Il cuore del problema sta nel fatto che per molti investitori e dirigenti, il modello di business che ha sostenuto l'industria dei videogiochi per intere decadi sta iniziando a sembrare decisamente superato e controproducente. "Il giochi inteso come Prodotto", ove un gioco è realizzato e venduto, magari seguito da una serie di contenuti aggiuntivi venduti separatamente (essenzialmente prodotti più piccoli rispetto al gioco stesso), è un modello molto amato dai consumatori core, ma chi si occupa di business sottolinea, non sbagliando del tutto, che è un modello che presenta molte falle.

Alcuni di questi difetti sono davvero reali: il modello del prodotto crea una barriera iniziale molto alta (non puoi attrarre nuovi consumatori senza convincerli, tramite un marketing costoso, di spendere dai €50 ai €70 per provare il tuo gioco), quindi pone di fatto un fattore limitante alla crescita dell'audience, che non è scalato con la crescita dei costi di sviluppo dei AAA. Ed in più, quel che non piace alle compagnie è che dopo aver comprato un gioco, un consumatore rimane con pochi soldi da spendere su pacchetti DLC (ognuno dei quali ha i suoi costi di sviluppo associati) prima di raggiungere il limite definitivo della propria capacità di spesa.

Ecco quindi che scaturisce la pressione a muoversi verso il modello "Giochi come Servizi", che risolve efficacemente, se non polemicamente, ognuno di questi problemi. Questo modello di servizi può essere prezzato addirittura a costo zero creando una barriera d'ingresso minima o persino inesistente, anche se molti grandi titoli associati a un brand altisonante preferiscono avere la loro fetta della torta, imponendo ugualmente un prezzo d'ingresso pieno per quella che è invece essenzialmente un'esperienza freemium. La spesa di un singolo giocatore può arrivare a essere teoricamente illimitata visto che l'acquisto di oggetti cosmetici e consumabili potrebbe costare fino a migliaia di dollari in alcuni casi. Questa dinamica permette anche agli incassi del gioco di crescere a dismisura fino a coprire gli ingenti costi di sviluppo e di marketing dei titoli AAA.

Il passaggio ai giochi come servizi è inesorabile, ed il 2018 offrirà sempre più esempi di questo cambiamento.

Potete prendervela con i giochi mobile per questo fatto, ma era solo la punta dell'iceberg; la velocità con cui il mercato dei giochi mobile ha virato verso il modello F2P e l'aggressività con cui è stato adottato, rappresentavano segni inequivocabili che il resto dell'industria avrebbe intrapreso prima o poi la stessa strada. La realtà è che i giochi mobile hanno fatto luce su un qualcosa che alcuni nell'industria segnalavano da anni: c'era una grandissima audience vergine di videogiochi nel mondo là fuori che non avrebbe mai varcato le barriere dei costi per entrare nel mercato tradizionale, ma che poteva diventare una miniera d'oro inestimabile per le aziende se le barriere d'ingresso si fossero abbassate.

L'altezza giusta di queste barriere è divenuta "giochi gratuiti per i dispositivi che possedete già", e infatti questo mercato si è dimostrato essere estremamente proficuo; e adesso gran parte dell'industria videoludica sta tenendo d'occhio quel modello che funziona così bene sugli smartphone, rendendosi conto che i costi di sviluppo non fanno che crescere, e chiedendosi come passare dal modello tradizionale a quello dei giochi come servizi.

Il problema è compiere quella transizione: dall'essere un creatore di giochi di successo o un publisher di giochi core al diventare una compagnia di giochi dal modello smartphone. È una mossa dannatamente rischiosa da compiere quando il modello di business che tu (ed i tuoi investitori!) vuoi avere è nient'altro che un anatema per molti dei consumatori che ti sono al momento fedeli. Non per tutti, certamente, ma quelli che si lamenterebbero sono talmente tanti che farebbero un gran baccano e potrebbero mettere la compagnia nella situazione di perderli.

Quindi, l'approccio maggiormente adottato nel 2017 (e precedentemente) è stato graduale; le compagnie hanno lentamente e dolcemente aggiunto servizi e caratteristiche simili, sperando che i consumatori si abituassero lentamente senza troppe lamentele.

Quando accade che le cose sfuggono di mano come successo a EA nello scorso mese, solitamente è l'indice dell'impazienza di qualcuno; che gli investitori hanno iniziato a chiedere troppo, o che i dirigenti hanno spinto troppo forte. Il percorso verrà modificato, ma la direzione rimarrà la stessa. A parte alcune grosse spinte e conseguenti danni ai fatturati per via di questi approcci troppo sfacciati e frettolosi, la transizione verso questi modelli di giochi intesi come servizi appare inesorabile ed il 2018 ce ne porterà sempre di più. Che vediate questo modello come la rovina o la salvezza dell'industria videoludica è una questione soggettiva, ma è senza dubbio una nuova realtà per i titoli AAA, e nel bene e nel male tutti dovremo farcene una ragione.