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Journey

Un fiore nel deserto…

Qui, come potrete comprendere, un giornalista di vecchia data come il sottoscritto inevitabilmente inarca il sopracciglio, e se non fosse che Flower alla fine era un dannato capolavoro, quasi si sarebbe tentati di commentare con sarcasmo certe roboanti dichiarazioni.

Chen, però, non è contento e rincara la dose: sostiene infatti che in commercio ci siano troppi videogiochi che trasmettono le stesse emozioni, quali violenza, aggressività e competizione. Ha anche deciso di mostrarci una tavolozza di colori associando alla maggior parte dei prodotti in vendita il rosso.

Ebbene, stando alle sue dichiarazioni a fine presentazione, il suo obiettivo con Journey è di posizionarsi nelle tonalità azzurre. Ancora una volta, diventa necessario ripetersi come un mantra che Jenova Chen è quello dietro a Flow e Flower.

La filosofia del team di sviluppo è per certi versi assimilabile a quella di game designer geniali e romantici come Peter Molyneux.

Journey, quindi, è per stessa ammissione del suo ideatore un prodotto che vuole indurre nuovi stati d’animo, e per farlo sovvertirà le regole non scritte del game design. Niente sentimenti violenti, niente tecnologia, niente poteri speciali, niente armi, nulla che renda il nostro personaggio superiore ai nemici o imbattibile.

Il protagonista è una creatura apparentemente umana, ma a ben guardare forse anche no, che si muove per dei paesaggi desertici avvolto in vesti di stoffa dalla fattura insolita. Si controllerà con lo stick sinistro e si guarderà attorno col Six-Axis, come in Flower.

All’orizzonte, oltre le dune di sabbia dorate, si staglia in tutta la sua maestosità un monte altissimo, con una luce potentissima che dalla sua cima si proietta nell’alto dei cieli. Il nostro compito sarà raggiungerla. Per farlo non dovremo combattere contro nessuno, né fare affidamento ai nostri riflessi o al nostro istinto di sopravvivenza.

Il protagonista di Journey sembra non avere peso, ne identità. Probabilmente anche Hayao Miyazaki ne sarebbe orgoglioso.

Dovremo solo galleggiare tra la sabbia, che si muoverà sotto i nostri piedi quasi fosse liquida, e di tanto in tanto spiccare balzi altissimi che ci vedranno poi planare lentamente verso il basso, quasi fossimo in un mondo dalla bassissima gravità (come la Luna?).

In un’altra mappa troveremo un deserto diverso, la cui sabbia avrà altre tonalità rispetto al precedente, e dove dovremo raccogliere dei frammenti di stoffa. Grazie ad essi spiccheremo dei balzi molto più in alto, che ci porteranno a raggiungere altezze prima irraggiungibili.

Ci troveremo quindi a camminare in cima a delle costruzioni diroccate, franate chissà quanto tempo fa sotto il peso degli anni, che però potranno essere collegate tra loro generando delle passatoie ancora una volta di stoffa. Su di esse il nostro personaggio sembrerà non avere peso, e potrà galleggiare su drappi mossi dal vento e accompagnati da sonorità ambient che ricreano un’inarrivabile atmosfera di sospensione.