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Ghostwire Tokyo Recensione: Cronache dall'orlo della catastrofe

Abbiamo recensito la nuova follia del papà di Resident Evil.

Lo avevo scelto per caso, quel ragazzo. Era l'unico con ancora un alito di vita dentro di sé, gli altri erano tutti andati. Vaporizzati. Mi serviva, serviva alla mia missione ma non ci contavo più di tanto. Mi ha sorpreso, il Ghost Hunter sono io ma dannazione se impara in fretta i trucchi del mestiere quella testa calda.

L'Etere sembra scorrere nelle sue vene più velocemente del sangue e i miei poteri gli calzano come un guanto. Alla fine, è quasi tutto merito suo se siamo arrivati fin qui, a pochi passi dal confronto finale, dalla possibile vittoria o dal tracollo definitivo. Coraggio ragazzo, un ultimo sforzo!

Sono passate oltre 35 ore da quando ho portato a termine Ghostwire Tokyo, nel frattempo ne ho spese un'altra piccola manciata tentando di completare tutto al 100% e ormai manca davvero poco. Sapete quanto ammiri la visione del videogioco di Shinji Mikami e ho amato anche le sue produzioni meno conosciute; da una vita prego per vedere nuovi God Hand e Vanquish.

Gli ho persino perdonato i (pochi) scivoloni della sua carriera e mi piace anche questo nuovo corso della sua carriera, quello da eminenza grigia che dall'alto segue le nuove leve e le instrada verso nuovi corsi del genere horror.

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Anche se si è allontanato dalla sua creatura più famosa, in tutti i suoi giochi si percepisce sempre chiaramente la sua voglia di catturare i giocatori e trasportarli in realtà piacevolmente distorte. Gli è riuscito bene con The Evil Within e tutto sommato anche con il seguito... ma Ghostwire Tokyo è una bestia un po' differente.

È un affascinante compendio del folclore tradizionale nipponico, un action dai ritmi serrati che viaggia sull'orlo del genere horror senza mai scendere nel terreno dello splatter o del gore più becero. Una produzione che probabilmente piacerebbe a J.J. Abrams e sicuramente incanterebbe M. Night Shyamalan. Ma soprattutto è un gioco capace di aprirsi con un ritmo praticamente perfetto, fornendo via via strumenti capaci di trasformare il giocatore da burattino quasi inerme di fronte alle forze del male, a macchina da guerra shintoista.

Il primo impatto non può che essere col comparto estetico e, sotto questo profilo, l'ultima creatura della banda Mikami potrebbe lasciare un po' interdetti, soprattutto chi venga dalle meraviglie di Horizon Forbidden West. In effetti Ghostwire Tokyo non è paragonabile ai top di gamma PS5 ma la visione d'insieme non è affatto disprezzabile e può vantare ben sei diverse modalità di visualizzazione.

Alle canoniche scelte di Qualità, che privilegia risoluzione e ray tracing, e Performance, che punta invece sui 60 fps a discapito dell'effettistica, sono state aggiunte altre "sfumature" che aggiungono il supporto al V-Synch e frame rate sbloccato... un'abbondanza che in effetti può disorientare. In attesa del verdetto approfondito del Digital Foundry vi diciamo che nessuna di esse è esente da sbavature, e c'è qualche calo di fluidità e occasionali fenomeni di tearing. Nulla tuttavia che comprometta l'esperienza di gioco.

Ben nascosti negli angoli di Shibuya ci sono questi piccoli altari presso i quali potrete pregare per aumentare la quantità di proiettili di Etere utilizzabili.

A prescindere dalla scelta noterete che a spiccare in negativo sono purtroppo proprio i modelli dei protagonisti, non particolarmente brillanti in termini di conta poligonale ed espressività, mentre le creature sono fortunatamente su un altro livello. Oltre ad avere connotazioni estetiche molto più marcate, sfoggiano eccellenti animazioni che riflettono il look di ogni Visitatore.

Le studentesse senza testa saltellano e si slanciano come delle ginnaste mentre le loro controparti maschili attaccano con tecniche di arti marziali e scattano come centometristi. I nemici più comuni, quelli vestiti come i protagonisti del dipinto Golconda di René Magritte, si differenziano invece per dimensioni, resistenza e atteggiamento.

Quelli più esili tendono ad attaccare frontalmente e fisicamente, quelli più corpulenti utilizzano l'ombrello per deviare i colpi (ma rimangono vulnerabili alle estremità inferiori, quindi mirate bene) e quelli ancora più grossi infine caricano con tutta la loro mole e squassano il terreno con enormi martelli.

Le versioni femminili dei Visitatori sono anche le più infide e spesso pericolose. Oltre ad essere mediamente più veloci possiedono attacchi dalla distanza con globi di energia lenti ma pericolosi se incassati in grande quantità, maneggiano cesoie gigantesche o ancora fluttuano e sparano Etere rosso dai capelli. Non c'è che dire, Ghostwire Tokyo ha un bestiario decisamente ampio e variegato... e ve ne abbiamo elencata solo una piccolissima parte.

Akito può “ascoltare” i pensieri di gatti e cani. I primi a volte offriranno qualche indizio mentre i secondi ricompenseranno le vostre attenzioni con monete bonus.

Akito dal canto suo può controbattere con attacchi legati a Vento, Acqua e Fuoco, che differiscono per velocità, portata e potenza. I primi sono quelli disponibili in maggior numero ma sono efficaci soprattutto con i nemici più deboli, i secondi hanno una portata e un'ampiezza maggiore mentre gli ultimi possono essere devastanti ma ne avrete davvero pochi a disposizione. Tutti possono essere caricati per qualche secondo e a seconda del tipo diventano proiettili di Etere a ricerca, dall'ampiezza maggiore o capaci di perforare più bersagli.

Con il progredire dei livelli potrete potenziare questi attacchi a piacimento ma anche ampliare il set di mosse migliorando mobilità (essenziale sia in combattimento che per le fasi esplorative), movimento stealth, velocità di assorbimento degli spiriti e altre caratteristiche che vi aiuteranno a plasmare il protagonista in base al vostro stile di gioco. Potrete anche equipaggiare accessori in grado di ampliare range e qualità di tali abilità, ma occhio perché ne potrete scegliere un massimo di tre.

Se all'inizio muoversi con cautela e sfoltire i gruppi di Yokai troppo numerosi risulta vitale per sopravvivere, da un certo momento in poi avrete la netta sensazione di essere diventati davvero potenti, forse anche troppo. Spesso il gioco vi redarguirà dicendovi di "non fare il gradasso" e mantenere sempre alta la concentrazione, ma è inevitabile constatare che Ghostwire Tokyo non è assolutamente un difficile, almeno nella sua forma standard. Vi consigliamo quindi di provarlo ad un gradino di difficoltà più alto per aumentare l'incertezza degli scontri e bilanciare meglio l'eccessiva abbondanza di risorse che Shibuya offre.

Il personaggio più importante di tutti è proprio la città, o meglio la zona di Tokyo che vi vedrà scorrazzare a caccia di risposte, Yokai e collezionabili. Nell'anteprima avevamo parlato di un open world non particolarmente esteso in senso orizzontale, non se confrontato con quelli di altre produzioni degli ultimi anni. La densità della location principale di Ghostwire Tokyo è però incredibile dal punto di vista della densità, offrendo un dedalo di strade, vicoli, piazze e viuzze piene zeppe di dettagli, suoni, luci e voci.

Effettuare un blocco perfetto poco prima di essere colpiti azzera totalmente il danno subito e apre una finestra per il contrattacco.

Il risultato è una perenne stimolazione sensoriale che chi ha visitato la capitale giapponese non faticherà a riconoscere. L'esplorazione si svolge su più livelli e potrete addentrarvi in labirintiche stazioni della metro, sotterranei e condotti fognari oppure viaggiare in alto tra tetti di abitazioni popolari e terrazze di grattacieli non sempre facili da scalare. Questo elemento è un plus non da poco, perché spesso per trovare quello che state cercando dovrete trovare il modo di arrivarci.

La visione spiritica vi fornirà un'indicazione di massima, evidenziando oggetti e punti di interesse per qualche secondo, ma spetterà a voi trovare le scale, gli ascensori, i montacarichi e tutti i mezzi possibili per arrivare. Da un certo momento in poi un ulteriore aiuto vi arriverà dai Tengu che svolazzeranno un po' ovunque e che potranno essere sfruttati a piacimento per salire in modo rapido.

Perdere l'orientamento e soprattutto il conto delle cose da fare può essere facile quando la mappa sarà completamente aperta e piena zeppa di indicatori, ma fortunatamente avrete a disposizione una serie di filtri che vi permetteranno di scremare le informazioni visualizzate. Potrete anche effettuare viaggi rapidi tra i vari santuari, visualizzati tramite i portali Torii, che andranno purificati prima di diventare accessibili. Ognuno di essi vi indicherà anche quante delle oltre 240.000 anime perdute restano da recuperare e "liberare", quanti e quali collezionabili sono ancora perduti (alcuni sono nascosti dannatamente bene) e via dicendo.

Se fate parte della categoria dei completisti vi mettiamo in guardia: di cose da fare anche dopo aver completato il gioco ce ne sono a volontà. Oltre alle suddette anime avrete decine di oggetti tradizionali da recuperare e portare ai neko-zianti (scusate il gioco di parole) felini, Yokai nascosti da attirare allo scoperto e catturare, denaro da recuperare e spendere in cibo ricostituente e munizioni... e soprattutto missioni secondarie.

Akito può essere personalizzato con molti accessori, ma potrete anche scegliere dei completi piuttosto singolari. Questo ci sembra di averlo già visto.

Un po' ovunque vedrete degli spiriti immobili dall'aria disperata, che vi racconteranno le loro storie e vi chiederanno di aiutarli. Almeno nella metà dei casi queste side-quest sono piuttosto banali, ma la restante parte nasconde storie davvero interessanti nella loro tragicità, che vi invitiamo a leggere e seguire con attenzione perché spesso si ramificheranno in step successivi e vi porteranno in nuove ambientazioni assai suggestive.

Siamo quasi arrivati alla fine e se avete già sbirciato il numero qui sotto vi starete chiedendo cosa, a parte i piccoli problemi di bilanciamento descritti poco fa, abbia impedito a Ghostwire Tokyo di ricevere valutazione ancora più alta. In apertura di recensione abbiamo citato non a caso M. Night Shyamalan, perché quasi tutti i film del regista indo-americano hanno una caratteristica comune: sono capaci di catturare l'attenzione con costrutti narrativi affascinanti, capaci di instillare un pathos incredibile nello spettatore per poi spesso montarlo con finali non all'altezza delle aspettative.

Una cosa simile accade nella storia di Ghostwire Tokyo, che per 25 ore fa viaggiare il giocatore attraverso scenari surreali e lo stuzzica con profezie catastrofiche e visioni da incubo... per poi riportare il tutto su una dimensione molto più terrena proprio alla fine.

Le motivazioni che spingono il villain verso il suo folle progetto vengono contrastate dagli slanci eroici dei due protagonisti, ma la loro storia non viene approfondita nel modo migliore. Se ne percepiscono stralci lungo tutto il gioco, ma un epilogo un po' troppo frettoloso lascia in sospeso qualche punto interrogativo di troppo.

Le meccaniche stealth sono importanti soprattutto all'inizio del gioco, ma con il crescere dei poteri di Akito diventeranno del tutto opzionali.

Ci sarebbe piaciuto conoscere meglio la storia passata di KK e andare più a fondo sui suoi rapporti con un paio di NPC che incontrerete nel corso dell'avventura. Stesso discorso per Akito: il suo passato viene raccontato da voci, flashback e un breve filmato finale ma tutto rimane troppo in superficie per permettere al giocatore di affezionarsi a lui e al suo compagno di avventure, che tra l'altro sotto il profilo estetico non brillano per originalità.

Il buon Shinji non è Kojima e forse non aspira neanche ad esserlo. La sostanza vale più della forma per lui e fa di tutto per darne il più possibile alle sue creature. Ghostwire Tokyo è sotto questo punto di vista un eccellente prodotto, capace di intrattenere e divertire grazie anche ad un ottimo sfruttamento delle features specifiche dell'hardware Sony.

Le vibrazioni DualSense "frizzano" sotto le gocce di pioggia che picchiettano le strade ed i tetti di Shibuya, "tremano" quando si depura un portale Torii e "sconquassano" quando si lancia un attacco etereo al massimo della potenza. I grilletti resistono alla pressione quando si tende una freccia o si assorbono delle anime dentro un Katashiro.

L'audio garantisce sensazioni avvolgenti e indica con cristallina precisione la provenienza dei suoni, avvertendo il giocatore sul possibile arrivo di un pericolo o della presenza di oggetti importanti nelle vicinanze. Lo speaker del DualSense è la voce di KK che si contrappone a quella degli altri personaggi provenienti dalle altre fonti sonore, e l'effetto è davvero interessante perché in piena trance da partita si ha quasi la sensazione che il Ghost Hunter risieda realmente dentro di noi.

In giro troverete anche Yokai che non vi attaccheranno. Questo è un Nurikabe e ama nascondere le porte. Per sbloccarle dovrete eliminarlo... pacificamente.

Se la stessa attenzione e vivacità che il team di Mikami ha riposto nella costruzione del mondo di gioco, nel bilanciamento delle sue meccaniche e nel feedback audio-visivo, fosse stata riposta anche per curarne la sceneggiatura fino in fondo, Ghostwire Tokyo avrebbe meritato il nostro bollino "essenziale" e sarebbe salito senza troppi problemi nella Top 3 della produzione del celebre game designer.

Chiudiamo con un'ultima nota riguardante la localizzazione: il gioco è doppiato in italiano e anche ottimamente, ma la cosa migliore che possiate fare per calarvi in pieno nel suo spirito è selezionare l'audio in giapponese coi sottotitoli. È così che Shinji Mikami e il suo team hanno pensato i dialoghi e la recitazione, ed è così che dovreste goderla.

8 / 10