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Belfast Recensione: Uno stato d'animo più che una città

Kenneth Branagh torna alle sue origini.

Mettendo per un attimo da parte le grandi produzioni con Disney o il suo Poirot, Kenneth Branagh con Belfast ci racconta la sua infanzia, gli anni in cui, da ragazzino già molto arguto, viveva con la sua famiglia, protestante, in un quartiere di Belfast, insieme a molte altre cattoliche.

Nell'agosto del 1969 iniziano i nefasti "Troubles", i disordini che porteranno alla tragedia che sappiamo, a una delle guerre civili più feroci e crudeli che la storia recente ricordi, che ha generato lutti e rancori infiniti.

Un altro dramma, dunque, su un periodo storico che il cinema ci ha saputo raccontare benissimo, sopperendo all'assenza dell'istruzione pubblica sulla storia recente? No, per fortuna, perché di film validissimi sull'argomento ce ne sono fin troppi e forse di un altro non avevamo voglia.

Per Branagh le cose non sono andate male come a tanti altri, e la situazione si è risolta in modo doloroso ma senza lutti e violenze dirette. Tutto è raccontato nell'ottica di Buddy, nove anni, con la cinepresa all' altezza degli occhi del bambino felice, che vive una vita serena in un microcosmo che sembra uno scenario teatrale, in cui muoversi con il massimo agio.

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Tutto ciò finché non iniziano le prime esplosioni di violenza cui assiste terrorizzato, per poi interrogarsi e strologare su quanto misteriosamente sta avvenendo nel fazzoletto di stradine che sono il suo mondo, dove improvvisamente alcuni si ritrovano a dover essere nemici di altri.

Ogni cosa però per lui passa attraverso la sua famiglia, amorevolissima anche se afflitta da problemi finanziari e di salute, con un padre che fa il pendolare con Londra per via del suo mestiere di manovale edile, e una madre casalinga, sempre presente, severissima ma mai gratuitamente. Perché è sempre alla famiglia che Buddy torna, per chiedere, per capire, per rifugiarsi, ai genitori e agli adoratissimi nonni. Evitando così di prendere derive sbagliate, guardando con l'occhio giusto quanto gli succede intorno.

Belfast non è solo una tenerissima storia di formazione di un ragazzino, ma anche la bellissima storia d'amore fra due coppie di adulti, gli anziani e i più giovani, una storia d'amore fra i vari membri della famiglia, fra i vicini di quartiere, fra Buddy e una compagna di classe ("perché, ditemi, chi non si è mai innamorato di quella del primo banco, la più carina"), in generale fra la famiglia e la città.

Una coppia che è davvero la più bella del mondo.

Il film ci consegna un ritratto inedito dell'autore e anche di quel momento storico, prima della devastazione totale, della completa invivibilità, quando se non ci si schierava si finiva ammazzati dagli stessi correligionari. Tempi che non smettono mai di riproporsi nella storia dell'umanità. Una via di salvezza però esiste, anche dolorosa, basta avere il coraggio di prenderla. Ma per guardare indietro è meglio lasciar passare il tempo.

Il cast è semplicemente perfetto nella sua sobrietà: Jamie Dornan, che cerca da anni di scrollarsi di dosso le 50 sfumature e ci sta riuscendo, è il padre, affiancato dall'energica compagna Caitriona Balfe (Outlander, Le Mans '66). Quanto alla coppia anziana, è composta da Judi Dench e Ciarán Hinds; e che dire che non abbiamo già detto di questi attori in tanti anni di carriera e grandi film?

Il ragazzino sorprendente è l'esordiente Jude Hill, sempre presente sul palcoscenico della vita famigliare, anche se solo da una finestra, da un angolo della stanza, mentre guarda e ascolta e decifra.

Tre generazioni a confronto.

Le musiche sono di Van Morrison ed Everlasting Love è sempre travolgente con la sua stupenda dichiarazione d'amore cantata alla sua amata dal padre di Buddy, "Open up your eyes, then you realize / Here I stand with my everlasting love". È tassativo vedere il film in originale, con quell'irlandese stretto che farà dubitare i protagonisti di venir capiti una volta trasferitisi in Inghilterra.

Anche se come dicevamo la guerra civile è marginale in questo film, citiamo ugualmente una serie di splendidi film, che ciascuno con un taglio diverso ci hanno ben raccontato quei tragici decenni: i drammatici Michael Collins, L'agenda nascosta, Nel nome del padre, Bloody Sunday, e poi The Crying Game, The Boxer, e Hunger, Il silenzio dell'allodola e Una scelta d'amore, gli ultimi tre su Bobby Sands e sullo sciopero della fame messo in atto contro il Governo inglese (leggi Mrs. Thatcher), poi il più commerciale Doppio gioco e Il viaggio - The Journey, il più recente.

Il film è in un bianco e nero di ricordi, rotti da sprazzi di colore solo dalla magia di quel cinema e quel teatro che la famiglia non faceva mancare al piccolo Buddy, contribuendo forse a piantare i semi che hanno poi germogliato come sappiamo.

Una famiglia che riesce umanamente ad essere felice.

E a colori è il panorama della città all'inizio e alla fine, con le dediche "a chi se ne è andato, a chi è rimasto e a chi si è perduto...".