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Secret Team 355 Recensione, quando l’agente segreto è femmina

Non c’è peggior furia di una donna ingannata: figurarsi se sono cinque!

Come fare un film di spionaggio/action/drammatico? Si prende la solita invenzione che sarebbe stato meglio che nessuno avesse inventato, un ordigno mortale, un virus letale, un aggeggio tecnologico capace di insinuarsi in tutte le reti internet del mondo e così via. Ovviamente ci sono subito tanti “cattivi” che la vogliono, per distruggere il mondo, per ricattare i governi.

Cosa fare allora? Si prende un eroe stile Tom Cruise o un gruppetto di cani sciolti a recuperare l’oggetto e sconfiggere le trame del Male, e li si scatena attraverso varie città del mondo. Con le dovute varianti, questo è Secret Team 355, il nuovo action tutto al femminile, un vero inno al girl power, alla sorellanza. Il titolo trova la sua origine in una storia antica, quasi una leggenda che tramanda che durante la Rivoluzione americana abbia operato una spia di sesso femminile, identificato con il codice 355.

Il “MacGuffin” sulle cui tracce tutti si avventano è un aggeggio capace di hackerare qualunque cosa, dai sistemi di sicurezza di una centrale nucleare ai mercati azionari, dalle apparecchiature di un aereo in volo allo smartphone che uno ha in tasca. Ma potrebbe essere qualunque altra cosa, non è quello il punto. Il punto è scatenare la caccia da parte di un gruppetto di agenti diversi dal solito. E cosa c’è di più diverso (ancora oggi) di una donna?

Dopo le donne/bandito Bardot/Moreau di Viva Maria! nel lontano 1965, dopo le Charlie’s Angels, dopo le donne giustiziere “tarantinate” di A Prova di Morte, dopo le truffatrici/rapinatrici della versione al femminile di Ocean’s Eleven e le donne cowboy della serie tv Godless, si forma fortunosamente un wild bunch di agenti appartenenti ai servizi segreti di varie nazioni (America, Germania, Cina, Inghilterra), più una terapista colombiana finita per sbaglio in mezzo a faccende più grandi di lei.

Un look perfetto per il suk di Marrakesh.

La posta è talmente alta che nessuno si può fidare di nessuno e doppi giochi e tradimenti imperversano, mentre l’azione a gran velocità si sposta da Parigi a Marrekech e Shanghai (mai fare i conti dei fusi orari). Dopo un incipit di maniera ma accettabile, Secret Team 355 precipita in una parte centrale assurda e iperbolica, per cercare di ripigliarsi in extremis con una svolta drammatica salvo concludere in linea col tono precedente. Un colpo di scena a tre quarti della narrazione non colpisce nessuno…

Mano a mano che le agenti, sempre bellissime e con pochissimi segni sul viso anche dopo scazzottate micidiali, avanzano nella loro ricerca, si affastellano i momenti che generano perplessità: come avranno fatto a riacchiappare al volo un tizio di cui non sapevano nulla, comparso nella folla di Marrakech? Città nel cui suk Jessica Chastain si aggira in elegante tallieur cachi con Fedora candido a tesa larga (tanto per passare inosservata).

Inoltre non dismette mai i tacchi e, a occhio con un 6 cm, cammina su sottili tralicci sospesi e salta su un container. Quanto al passare inosservati, quando le ragazze dovranno partecipare a un’asta fra compratori miliardari e malavitosi, la tattica scelta sarà nascondersi in bella vista e faranno un ingresso “ganassa” clamorosamente vestite da sera, e non si capisce dove abbiamo trovato il tempo per il parrucchiere e l’estetista, con gioielli che contengono microcamere (ma dove li avranno trovati?). Nel corso del film, inoltre, capita che agenti americani e tedeschi sparino in mezzo alla folla senza alcun pensiero.

Come passare inosservate in un covo di riccastri malviventi?

Dirige Simon Kinberg, più attivo come produttore che come regista, è infatti solo al suo secondo lungometraggio dopo X-Men: Dark Phoenix. Scrive anche la sceneggiatura insieme a Theresa Rebeck, autrice della storia (la ricordiamo per la serie Smash, anche questa una storia centrata su personaggi femminili).

Secret Team 355 è uno di quei film di azione/avventura/spionaggio per modo di dire, che avrebbe potuto essere migliore se fosse stato più sobrio; ci sarebbe bastato una “sobrietà” stile Atomica bionda, un po’ meno Charlie’s Angels (il remake del 2019). Inevitabile e prevedibile l’irruzione finale con esplosivo e armi pesanti (ma le protagoniste trovano il tempo per cambiarsi d’abito), e si arma perfino la tremebonda terapista colombiana.

Alla fine il film è solo una scusa per mettere insieme sullo schermo una serie di attrici famose e molto belle, che hanno dato modo di dimostrare di essere capaci di recitare bene in altre occasioni, e così sembra un gran spreco. Tutte sono più che altro impegnate in attività fisiche: Jessica Chastain le dà e le prende in un paio di corpo a corpo con una sempre bellissima Diane Kruger, si inseguono e inseguono altri, affrontano omaccioni con il doppio dei loro chili a mani nude.

Cosa potrà mai andare storto?

Se loro sono il braccio, Lupita Nyon’go, hacker inglese, è la mente ma non disdegna nemmeno lei di scendere in campo quando proprio si arrabbia. L’immacolata Fan Bingbing combatte e spara senza che le si scompigli lo chignon. Penélope Cruz metà delle sue battute le dice in spagnolo quando telefona al figlioletto e si preoccupa solo della famiglia (ah, le donne latine). Gli uomini che creano solo problemi sono il seduttivo Sebastian Stan, il confuso Edgar Ramirez, il malvagio Jason Flemyng (un bello spreco di attori anche qui).

Per citare la frase che si usa dire di un film che non ci ha convinto, “bella la fotografia”. Qui concludiamo dicendo “bella la grafica sui titoli di coda”.