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Thor Love and Thunder, la Recensione

Perché buttare Thor in barzelletta?

Quale è la trama del nuovo film su Thor: Love and Thunder? Dopo la fine di Endgame, Thor aveva affidato il governo della sua nazione a Valchiria e si era unito ai Guardiani della galassia, per difendere i deboli dai soprusi dei potenti, da un pianeta all’altro.

Si era poi ritirato in cerca della pace interiore, pronto però a tornare a usare i suoi enormi poteri in caso di necessità. E la necessità si presenta nelle vesti dell’incattivito Gorr, detto il macellatore di dei. E perché Gorr vuole macellare le divinità sparse nella galassia? Perché si è reso conto sulla propria pelle che di noi poveri mortali agli dei non importa un bel niente, che sono tutti dei megalomani egoisti e presuntuosi e vanno perciò duramente castigati (come dargli torto).

Ai due compagni di avventure da lui scelti, la coraggiosa Valchiria e il roccioso Korg, si unisce a sorpresa la sempre amata ex di Thor, la scienziata Jane Foster, divenuta una super-eroina, misteriosamente munita del martello di Thor, il mitico Mjolnir. Quando Gorr rapisce in massa la nuova generazione di Asgard, il quartetto di eroi dovrà andare a riprendersela, pagando un duro prezzo per il proprio eroismo.

Thor come Kung Fu Panda

Questa è la storia e ci sarebbero diversi modi di raccontarla, scegliendo diversi registri, usando diversi toni. E che tono ha scelto Taika Wiatiti, per la seconda volta alle prese con il personaggio, dopo il già contestato Ragnarok? Deve aver detto “famolo” ancora più paradossale, ancora più assurdo, ancora più “spiritoso” (e qualcuno ai piani altissimi di Disney/Marvel è stato d’accordo). E poche cose sono più personali del sense of humor. Perché Love and Thunder fa pure ridere in tante occasioni, ma lasciando poi un senso di imbarazzo per averlo fatto. Fa ridere scuotendo la testa mentre in fondo si disapprova. Fa ridere allargando le braccia perplessi, fa ridere come se in ogni scena, mentre Waititi la girava, ci fosse stato presente un Mel Brooks, a buttare tutto in auto-parodia. Ma un Mel Brooks degli anni ’80 e di conseguenza anche le “comiche” si attestano a quel livello goliardico (vedere per credere il trattamento riservato alla figura di Zeus, interpretato in corazza dorata e corto gonnellino bianco da Russell Crowe).

In fondo Thor, personaggio dall’ego strabordante, dio potentissimo e bellissimo un filo ego riferito (ma come dargli torto), è passato attraverso varie tragedie nel corso degli anni e anche la deriva da junkie panzone del capitolo conclusivo degli Avengers era provocato dal peso del lutto immenso che aveva dovuto sopportare. Chissà cosa penserà dell’evoluzione imposta al personaggio Kenneth Branagh, regista del primo film dedicato a Thor, per il quale si era sprecato l’aggettivo “shakespeariano”. Il Thor di Waititi è diventato una specie di Ken plasticoso e talmente muscoloso da far sospettare l’utilizzo di qualche trucco in CG. Sembra un Ken anche perché è un pupazzone neanche tanto sveglio, anzi proprio tonto, logorroico e pure ingenuo. Spiace vedere Hemsworth alle prese con un personaggio scritto in questo modo.

Personalmente, pur ridendo in alcune occasioni, in alcune volentieri, in altre quasi di malavoglia, abbiamo trovato riuscita la sequenza ambientata nella Asgard di oggi, un paesino di pescatori dove si sono insediati i sudditi di Thor, dopo la distruzione incrociata del loro pianeta, opera di Hela e Surtur. Il luogo è diventato meta di turismo di massa, per il quale vengono messi in scena spettacolini in cui si ripercorrono le avventure di Odino e Family, in cui compare Matt Damon, in un surreale travestimento di Loki (Sam Neill è Odino e Thor è interpretato dal fratello di Chris, Luke Hemsworth, mentre Melissa McCarthy è una finta Hela). E almeno lì si ride convinti.

Il dio eroico che ritrova la sua amata, divenuta Mighty pure lei

Tessa Thompson riprende il suo ruolo di Valchiria, che anni fa sarebbe andato a Michelle Rodriguez, prototipo di femmina indipendente, combattente e anche beona (ma è per affogare i dispiaceri sentimentali, troppe fidanzate perdute). L’amata Jane Foster (torna Natalie Portman), il cui rapporto con Thor era autentico e credibile proprio a causa della loro diversità, qui è costretta a un sali/scendi tra farsa e tragedia (di lei però non possiamo dire molto perché sarebbe grave spoiler).

E che dire di un Christian Bale, cui viene affidato un personaggio potenzialmente tragico, tono sul quale si apre il film, prima dei titoli di testa, che poi volge in burletta subito dopo, nell’incontro con il suo frivolo dio, per poi ri-precipitare nel dramma nel sottofinale. Dopo però il tono muta di nuovo e tutto va a finire come fossimo in una serie tv teen degli anni ’50. I Guardiani compaiono brevemente solo all’inizio. Poi, fortunati loro, veleggiano verso altre avventure. Anche il look del film, le scenografie e i costumi sono coloratissimi e plasticosi, quasi fossimo a una fiera di cosplayer di lusso. Nella colonna sonora grande uso di canzoni dei Guns N’ Roses. Comprendiamo l’approccio giocoso/pop ma non condividiamo.

Quanto al regista, che scrive anche storia e sceneggiatura insieme alla quasi esordiente Jennifer Robinson, si tratta di un personaggio anomalo, il neozelandese Taika Waititi, già autore di due piccoli cult surreali come Eagle vs Shark e What We Do In the Shadows, poi Oscar per la sceneggiatura di Jojo Rabbitt. Se già in Ragnarok Waititi buttava tutto un po’ “in caciara”, fra mille battutine anche spiritose, ma con un ritmo impeccabile e situazioni comiche spesso riuscite, qui calca la mano, aumenta gli ingredienti e le spezie di un pastone che alla fine diventa indigeribile. E ingiustificabile. Ci sono film che inevitabilmente scontentano una parte del pubblico che li va a vedere. Love and Thunder potrebbe vincere un Oscar in questa categoria. In ogni modo chi già si fosse “indignato” per Ragnarok, qui si astenga, perché potrebbe provare l’impulso di scagliare qualche oggetto verso lo schermo.

Gorr/Bale, un villain che avrebbe meritato ben altro trattamento

Ora è chiaro che qualunque personaggio può essere soggetto di un film-parodia, ma in questo caso che sia parodia dall’inizio alla fine. Inoltre se Ragnarok, con tutti i suoi eccessi, restava comunque nel continuum della serie, dove ci porterà questo film, che si chiude in una scena post credits disorientante in stile Scontro tra Titani? Abbiamo i brividi solo a pensarci.

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A proposito dell'autore

Giuliana Molteni

Contributor

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