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I giochi dell'anno: The Last of Us Parte II

Il GOTY 2020 secondo Lara.

Che The Last of Us Parte II fosse il candidato più papabile per le premiazioni 2020 del Game of the Year, è sempre stato un po' il segreto di Pulcinella.

Il gioco smarca quasi tutti i punti chiave che hanno contraddistinto i GOTY degli ultimi anni: altissimo valore produttivo e artistico, grafica spinta fino al limite dell'hardware su cui gira, livello di difficoltà modulabile e accessibile al pubblico di ogni livello, marcata componente narrativa, combinazione di situazioni fortemente emotive con altre altrettanto brutali... e quella spolverata LGBTQ+ a insaporire il tutto.

Al di là di tutto questo, ho già espresso in sede di recensione le mie ragioni per premiare il lavoro di Naughty Dog e si è trattato, non a caso, del mio primo 10 in oltre 6 anni di articoli e video dedicati al mondo del gaming; cercherò, ancora una volta e più brevemente, di spiegare come mai, secondo me, The Last of Us Parte II ha tutte le carte in regola per poter essere considerato il GOTY di questo sventurato 2020, a prescindere da quante nomination e statuette si sia effettivamente portato a casa.

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La prima cosa da evidenziare e che spesso e volentieri viene malauguratamente messa in secondo piano è che, al di là della toccante colonna sonora, le superbe figure attoriali e l'eccezionale estetica del titolo, The Last of Us Parte II è un videogame maledettamente divertente da giocare. Ogni elemento del predecessore è stato migliorato, tra cui la reattività dei comandi e il ventaglio di movimenti e azioni a disposizione delle protagoniste.

Il gunplay offre una buona varietà e la personalizzazione di armi e strumenti consumabili; la struttura delle mappe permette svariati approcci a un singolo obiettivo, dal più silenzioso e pacifico, a quello più frenetico e spietato.

Impossibile non nominare la programmazione nemica, una, se non la migliore di questa generazione: indipendentemente da quanto possa essere più o meno straziante massacrare persone, infetti e animali, e sentirli gridare il nome dei compagni caduti (e, nel caso dei cani, vederli avvicinare ai padroni morti, uggiolando), il loro modo di avvistare, reagire, aggirare il giocatore è il perfetto compromesso fra realismo e giocosità arcade, il tutto accompagnato da eccezionali feedback audiovisivi.

Joel Miller incarna il perfetto sopravvissuto: un uomo forte ma schiavo dei fantasmi del passato, condannato a non smettere mai d'indossare e guardare l'ora di un orologio da polso ormai fermo da anni.

Parlando di feedback, non bisogna sottovalutare un altro elemento nel quale The Last of Us Parte II è considerabile un vero e proprio apripista nelle produzioni AAA: l'accessibilità. Come discussi tempo addietro in un articolo dedicato, Naughty Dog ha forgiato una simbiosi fra "il titolo di massa" e il prodotto attento alla nicchia, alla minoranza, ai meno fortunati: persone che, se anche non acquistassero il videogame perché impossibilitate a giocarlo, non inciderebbero minimamente sul bilancio complessivo delle vendite, ma che, nonostante questo, non sono state messe in secondo piano rispetto a chiunque altro. Discutere in modo approfondito la narrativa di The Last of Us Parte II richiederebbe troppo tempo e, soprattutto, potrebbe rovinare con degli spoiler l'esperienza di chi ancora non lo abbia giocato. Mi limiterò a dire che, a mio avviso, sarebbe stato semplicissimo realizzare un "The Last of Us 2" che facesse felici più o meno tutti.

L'intreccio del titolo precedente è stato comunque sviluppato su binari abbastanza scolastici, rivoluzionari giusto per il medium videoludico, ancora acerbo su molti punti rispetto alle altre forme d'intrattenimento.

Eppure, Naughty Dog e il director, scrittore e da poco promosso anche vicepresidente dell'azienda, Neil Druckmann, hanno scelto la strada più difficile: nessuno avrebbe immaginato l'Odissea dei mesi precedenti e le settimane successive all'uscita del gioco, ma era comunque preventivato che buona parte dei "fan" del primo The Last of Us non avrebbero per niente apprezzato la piega presa dagli eventi.

Il gioco non esita a mostrare situazioni di violenza sporca, poco teatrale, quasi goffa... e, per questo, ancora più credibile e spaventosa.

Eppure è stato scelto di dar priorità al raccontare una storia e lanciare un forte messaggio, piuttosto che limitarsi a "far divertire" le persone. E questo, per quanto mi riguarda, è un atto di coraggio autoriale che va riconosciuto, ma soprattutto rispettato.

Questo non significa certo che The Last of Us Parte II sia un titolo perfetto: oltre a piccole sbavature puramente ludiche, ciò che appare è fuor di dubbio una produzione al limite della supponenza: eccezionale e perfettamente consapevole d'esserlo.

Un gioco che va per la sua strada e non si piega mai ai capricci del pubblico e anzi, a volte sembra volutamente fare l'impossibile per far soffrire chi impugna il controller.

The Last of Us Parte II è quello studente primo della classe, di bell'aspetto, sportivo e di buona famiglia, sempre puntuale, in ordine e di buon umore.

Possiamo odiarlo, invidiarlo, desiderare di vedere un suo qualunque passo falso per poter dimostrare a noi stessi che se persino lui è imperfetto, i nostri limiti risultano in qualche modo più accettabili.

Oppure possiamo accogliere ciò che di buono ha da offrire, divertirci con lui e, perché no, diventare a nostra volta persone migliori.

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Lara Arlotta

Contributor

Scrive, blatera e videogioca, spesso contemporaneamente e da oltre due decenni. L'unico modo per fermarla è darle da mangiare, ma l'effetto è solo temporaneo. Sono ancora in corso delle indagini confidenziali per comprendere se si tratti di un essere umano o di una credibile riproduzione, inviata nell'era contemporanea da una civiltà eternauta.
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