Skip to main content
Se clicchi sul link ed completi l'acquisto potremmo ricevere una commissione. Leggi la nostra policy editoriale.

La caduta di un gigante

Siamo alla fine del videogioco per PC?

386, 486, Pentium, Dual Core, Quad Core... sempre più potenza, ma per arrivare dove? Davanti a uno striminzito scaffale di giochi PC che nemmeno riesce a fare ombra a una linea orizzontale sterminata di titoli per console.

Una vista deprimente per chi è cresciuto a pane e processori, per chi ha combattuto le prime battaglie contro MemMaker e le scaramucce a colpi di memoria base per poi addentrarsi nella palude senza ritorno delle schede grafiche.

Sono ormai tramontati i tempi in cui tra i giocatori PC e quelli console sembrava esserci la stessa differenza che divideva gli esperti della musica colta dai fruitori di quella popolare.

Rinchiusi nella torre d'avorio del sapere i primi, a guardare con sufficienza gli altri ammassati alle fondamenta, che a loro volta schernivano i "sapienti" brandendo i loro gamepad sudati dopo ore di divertimento immediato. Due punti di vista troppo distanti per essere conciliati.

Oggi, se non proprio crollata, la torre dei giocatori PC appare come un rudere maestoso e un po' decadente, vestigia di un potere ormai distante nel tempo. La crisi del videogioco per PC, in realtà, non è stata causata da una lotta fratricida tra i giocatori dell'una e dell'altra ideologia, ma ha origini lontane.

Più grosso, più veloce, più potente, più performante, più overcloccato... ok, ma ora a cosa giochiamo?
Mentre nei negozi di informatica si trovano computer pronti per l'iperspazio, questo è uno dei videogiochi di maggior successo.

Sembra sensato dire che proprio il potere che ha portato il PC a sedere sul trono della macchina da gioco per eccellenza ha poi finito per divorarlo dal di dentro.

I problemi iniziano nel momento in cui le onnipotenti multinazionali cominciano a intravedere nell'allora abbastanza oscuro movimento dei videogiocatori una fonte di interessante profitto.

Investimenti cospicui mettono gli autori di giochi in condizione di progettare mondi stratosferici. È l'età dell'oro durante la quale un fiume di dollari attraversa buie cantine e garage in disordine, dove i pionieri del divertimento elettronico sperimentano idee a non finire.

Il flusso di denaro apre infinite porte e il giocatore trova sugli scaffali il meglio del meglio. Tutto funziona alla grande fino a quando le stesse multinazionali presentano il conto da pagare: il denaro investito deve ritornare alla base raddoppiato. Quadruplicato sarebbe meglio, grazie.

Fine della sperimentazione. Fine delle idee originali. Il videogioco deve vendere, dev'essere accessibile a tutti, deve piacere, deve divertire all'istante e deve durare molto di meno, altrimenti non c'è ricambio.

È qui che si assiste all'appiattimento dei generi. Qualcuno resiste, qualcuno ha anche accumulato abbastanza denaro da permettersi di poter fare, almeno per un po', di testa sua. Tutti gli altri si trovano davanti al bivio della minestra e della finestra. Non è ancora finita.

I videogiochi devono essere belli da vedere. Di più, devono essere spettacolari. È per questo che il denaro scorre a fiumi. Perché lo siano serve una potenza che i computer non hanno, quindi vanno potenziati. Altri poteri commerciali arrivano con i mezzi e la conoscenza. Si trovano soluzioni tecnologiche, si comincia a capire che la scheda video è una delle chiavi, a sua volta legata ai processori, alle schede madri, agli alimentatori, agli hard-disk e a ciò che deve tenere insieme tutto questo: i driver.

Sign in and unlock a world of features

Get access to commenting, newsletters, and more!

Related topics
PC
A proposito dell'autore
Avatar di Mike Ortolani

Mike Ortolani

Contributor

Dopo un passato di musicista, incontra il buon Silvestri che lo coinvolge con Eurogamer. Mike ne è entusiasta, ma nel suo animo è ancora abbastanza sicuro di essere un musicista.
Commenti