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La storia di Halo 2

Eurogamer rivive con Bungie lo sviluppo del gioco che ha segnato un'epoca.

“Stavamo lavorando a un mucchio di roba che non poteva essere giocata con nessun engine” dice Butcher. “Avevamo creato fin nel più minimo dettaglio feature e ambienti così numerosi e così vasti che semplicemente non potevano funzionare. Se guardiamo al livello nella zone di quarantena, quello non è altro che il 20% di ciò che avevamo creato in precedenza. Non avremmo mai potuto inserirlo in un engine.”

“Abbiamo anche fatto svariati errori sul versante single-player”, riprende Griesemer. “Se pensiamo al piano originale per la campagna in singolo, possiamo constatare quanto fosse complesso, poiché conteneva già una combinazione di elementi narrativi di Halo 2 e Halo 3. Non abbiamo potuto sviluppare ulteriormente la narrazione, ed è per tale motivo che avete avuto quel finale.”

L’ambizione era smisurata e come vedete creò non pochi problemi in sede di sviluppo. Anche il multiplayer non fu privo di problemi. “Tentammo alcuni passi verso uno stile di gioco più grande,” ricorda Carney. “Avevamo ideato obiettivi enormi e creato gli ambienti atti a supportarli. Il tutto durò due mesi, credo, ma poi finimmo col renderci conto che non era la strada giusta da percorrere in quel momento”.

“Era tutto troppo ambizioso. Avevamo un sacco di idee relative ai giochi che avevamo giocato e molte cose che volevamo tentare, ma arrivati a quel punto ci rendemmo conto che servivano troppi sforzi per rendere la modalità multiplayer valida quanto quella in singolo. Abbiamo perciò dovuto tagliare parecchio e accontentarci delle cose buone che eravamo riusciti a tirare fuori”.

Di certo capite bene quanto doloroso sia stato per il team questo processo di ridimensionamento del gioco. A ciò si aggiunge anche il fatto che un anno prima della data di rilascio, il team non aveva ancora un engine solido, gli ambienti creati non potevano girare in alcun motore grafico, alcune feature erano implementate a metà e la storia era risultata troppo lunga e complessa per una singola iterazione.

Quell’anno di lavoro fu il più duro di sempre per tutti i membri di Bungie. Butcher ricorda con terrore gli assurdi orari di lavoro, sette giorni su sette, partendo dalla mattina presto per uscire dagli uffici non prima delle 11 di sera. Per mesi e mesi e mesi…

“È stato il periodo di sviluppo più brutale che abbiamo mai avuto”, ricorda Carney. “Adesso abbiamo imparato a essere molto più organizzati e concentrati. Probabilmente perché tutti noi ricordiamo con paura quei giorni. La mancanza della luce del sole, la scarsa igiene… Queste sono semplicemente cose che nessuno di noi vuole più rivivere!”

I periodi difficili sono sempre presenti quando si sta sviluppando un gioco, eppure Butcher tiene a precisare come oggi le cose vengano affrontate in maniera diversa. Adesso c’è più sicurezza, anche nei momenti più complicati. “Per Halo 2 invece tutto consisteva in: “Oh mio Dio, siamo fottuti! Stiamo tutti andando a morire". Mesi e mesi pieni di quei sentimenti negativi, eppure siamo riusciti a creare qualcosa di grandioso.

Avevano quindi uno studio di larga esperienza con alle spalle la compagnia più potente del mondo, e il progetto in cantiere era il sequel di un gioco lodatissimo da critica e pubblico. Come avrebbe potuto un osservatore esterno immaginare una situazione così disastrosa?

In effetti, ammette Butcher, qualcosa di simile era avvenuto anche con Halo 1. Delle 25 missioni progettate inizialmente ne furono inserite soltanto 10. Mancava ancora quel tipo di organizzazione che ci aiutasse a contrastare i problemi via via che li incontravamo lungo il corso dello sviluppo. “Eravamo come bambini che stanno attraversando un’adolescenza disordinata, solo che avevamo il peso di decine di milioni di dollari come budget e il mondo intero che ci osservava”.