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Il metagioco, il META e l'ottimizzazione del divertimento nei videogiochi

È ancora possibile giocare come vogliamo noi?

Se c'è una cosa che abbiamo imparato dall'ondata di revival eccellenti che hanno recentemente travolto il mondo dei videogiochi, è che i moderni strumenti digitali hanno totalmente scombussolato il modo in cui si approccia un'esperienza virtuale.

Abbiamo avuto l'opportunità di ritornare fino al giorno zero di veri e propri fenomeni globali come World of Wacraft, che è stato resettato dalla variante Classic, come Diablo II, che è tornato in vita con Resurrected, o anche Demon's Souls, che è stato rimesso a nuovo attraverso il lavoro di Bluepoint Games, scoprendo sì nostalgiche parentesi di un passato ancora familiare ma osservandole attraverso gli occhiali della contemporaneità.

E la contemporaneità ci ha svelato un cambiamento nei metodi di fruizione tale che oggi esiste persino un pubblico che è talvolta più interessato a guardare un walkthrough o analizzare fredde statistiche che a vivere il viaggio in prima persona, una cosa impensabile per chiunque abbia vissuto anche solo gli anni 2000. Un elemento che rappresenta solo la punta dell'iceberg in quello che è l'ingombrante fenomeno del metagaming, da sempre presente nelle comunità online eppure esploso in epoca recente.

Perché è proprio di "metagioco" che stiamo parlando, un concetto che a partire da una definizione tipica dei GDR cartacei si è fatto largo persino nella terminologia delle comunità competitive attraverso l'acronimo META (Most Effective Tactics Available) e che, a ben vedere, ha una forte influenza su qualsiasi genere di gioco. Influisce ad esempio sul calcio, quando un allenatore sceglie di schierare un 4-3-3 nel match day, oppure sul golf, quando un giocatore appassionato opta per l'acquisto di un particolare set di mazze.

Il lancio di WoW Classic è stato a dir poco esasperato dall'ottimizzazione del gameplay.

Secondo le definizioni di Garfield, Carter, Gibbs e Harrop, il metagioco è costituito da qualsiasi attività esterna al gioco che abbia un'influenza diretta sulla percezione del gioco stesso, sulle modalità di gioco e sulle scelte che si compiono all'interno di un gioco. Ogni attività immersiva che porta a riflettere e a discutere di un gioco configura forme di metagioco, siano esse semplici dialoghi fra appassionati o lo studio di una strategia di min-maxing creata da professionisti del settore.

La moderna cultura digitale ci ha insegnato che il networking scaturito dall'esplosione di internet ha potenziato in modo esponenziale l'incidenza del metagaming sul mondo dei videogame, trasformando spesso in modo irrimediabile l'approccio dei giocatori a qualsiasi genere di esperienza virtuale e gonfiando oltre misura la bolla di contenuti prodotta dai singoli titoli.

Facendo riferimento ad alcuni dati raccolti da Statista nel 2019 (prevalentemente nell'orbita di World of Warcraft) si scopre che un videogiocatore su due, al momento della scelta della classe in un videogioco di ruolo, utilizza strumenti esterni per informarsi a proposito della performance, dopodiché procede alla selezione non del suo avatar preferito, ma di quello che opera meglio nel contesto di riferimento.

Il sopracitato lancio di World of Warcraft Classic rappresenta l'esempio perfetto per rendersi conto dell'incidenza del fenomeno. Quando nel 2004 "WoW" Vanilla esordì sugli scaffali dei negozi, l'assenza di strategie spinse gli appassionati a percorrere una strada personale nella scoperta del mondo di Azeroth, facendo nuove conoscenze e alleandosi con altri giocatori per affrontare le sfide più difficili.

I server di Diablo 2 Resurrected collassano ogni weekend, ma nessuno finisce il gioco.

Inevitabilmente, i sedici anni di longevità di WoW non potevano che produrre centinaia di migliaia di analisi scaturite dal metagaming, oltre che l'individuazione del vero e proprio META, ovvero la già menzionata Most Effective Strategy Available. Il risultato è che in World of Warcraft Classic del 2019 non solo gli appassionati hanno rinunciato a giocare le proprie classi preferite, o a costruire build originali, ma hanno completamente travolto ogni genere di contenuto disponibile tendendo ad escludere dalle meccaniche sociali i giocatori che non si adeguavano alla strategia dominante.

Una conseguenza strettamente correlata a questo tipo di comportamento risiede nell'approccio predeterminato alle meccaniche di gioco, che costituisce una forma di metagaming da manuale e che si verifica, ad esempio, quando in un'esperienza come il remake di Demon's Souls un giocatore decide di allocare le statistiche in un certo modo al fine di replicare una build realizzata da altri, o anche di modificare quelle che sarebbero le sue personali scelte nella fase narrativa al fine di perseguire un esito che già si conosce.

Il paradosso più grande di questo fenomeno risiede nel fatto che le dinamiche di min-maxing, ovvero quelle volte a definire la scelta oggettivamente migliore in ogni situazione, trovino l'apice della propria realizzazione nel sottobosco dei GDR. Proprio perché la maggior parte dei giochi di ruolo si reggono su meccaniche statisticamente quantificabili e facilmente analizzabili, gli universi che per definizione dovrebbero garantire la maggiore libertà d'azione possibile si sono lentamente trasformati nel paradiso del min-maxing, e non solo di quello tecnico.

Quante volte capita di trovarsi al cospetto di un bivio narrativo che appare molto impattante e si sente l'impulso di scoprire cosa accade nell'uno o nell'altro caso? Ve lo diciamo noi: succede di continuo, perché i contenuti che rispondono a questo genere di quesiti vengono visionati migliaia di volte su base quotidiana, e la produzione di contenuti simili sulle principali piattaforme video non è mai stata tanto proficua.

Fra le ricerche più effettuate su Google a tema videogiochi spiccano le conseguenze delle scelte su The Witcher 3.

La soddisfazione che si trae dalla consapevolezza di aver terminato una "run" perfettamente ottimizzata diventa per molti appassionati superiore a quella che si può ottenere dall'esperienza in sé e per sé. Un esempio lampante di questa fattispecie si può ricavare dalle metriche di Diablo II Resurrected: i server sono talmente pieni di personaggi da crollare sistematicamente ogni fine settimana, ma la percentuale di giocatori che hanno completato l'Atto V è ridicolamente bassa (5% del totale). In tanti stanno mettendo in pratica le strategie, quasi nessuno sta "giocando".

Uno dei più comuni bias frutto del META è anche una delle principali ragioni alla base della crescente tossicità nelle comunità online. Il giocatore che studia il META in contesti competitivi come quelli di giochi come League of Legends od Overwatch, tende a impadronirsi delle teorie e delle performance proprie dei professionisti per valutare l'operato dei compagni di squadra, senza rendersi assolutamente conto che si tratta di dati raccolti oltre soglie astronomiche di pura skill meccanica e di game-sense.

Ovviamente l'evoluzione del META ha un'incidenza enorme nel mondo del professionismo e dell'esport, nel percentile più elevato dei giocatori nonché in ecosistemi chiusi che presuppongono una parità di abilità e competenze. Ma scorporare il META da questi contesti e adattarlo alla partita media di un videogioco competitivo è come pensare di utilizzare le tattiche del Barcellona di Pep Guardiola in una partita di un torneo locale, magari insultando i compagni perché non hanno giocato la palla come avrebbe fatto Andrés Iniesta.

Vien da chiedersi se veramente, come appassionati, stiamo tagliando il divertimento durante l'inarrestabile processo di ottimizzazione dei videogiochi. È evidente che i mercati degli MMORPG e dei titoli competitivi rappresentino il tessuto perfetto per analizzare lo stato delle cose data la natura facilmente quantificabile e la costante necessità di interagire con terzi, e il quadro che emerge da titoli come World of Warcraft, New World e i MOBA non è certo dei più incoraggianti; addirittura, le statistiche dei principali Card Game ci hanno insegnato che meno dell'1% dei giocatori prova a creare un proprio mazzo da zero, puntando esclusivamente su formule già rodate.

Il bias cognitivo relativo al META è una delle principali ragioni dietro la tossicità nei videogiochi competitivi.

Il che fa pensare anche alla sfera della validazione personale, e a conseguenze come la FOMO, ovvero la "Fear Of Missing Out", quella paura di rimanere tagliati fuori da un contesto sociale che tanto sta caratterizzando la nostra epoca.

Cosa penseranno di me se non ho giocato un titolo nella maniera migliore possibile, scovando tutti i segreti? Riuscirò a trovare un gruppo di giocatori se non sto utilizzando la migliore classe o la build più performante? Riuscirò a vincere una partita senza affidarmi ai setup ideati dai professionisti?

In fin dei conti la condivisione è sempre stata un elemento fondante del mondo dei videogiochi, e sulla carta non c'è niente di più bello di scambiarsi opinioni, scoperte, consigli e strategie con gli amici, un po' come accadeva nel pieno della sesta generazione di console.

Ma l'opinione è diventata un assoluto, la scoperta una cosa che si è mancata, il consiglio una regola, la strategia il META, e il risultato è stata la creazione di una comunità di videogiocatori che è sempre più attenta a giudicare costantemente sé stessa.

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Lorenzo Mancosu

Editor-in-Chief

Cresciuto a pane, cultura nerd e videogiochi, i suoi primi ricordi d'infanzia sono tutti legati al Super Nintendo. Dopo aver lavorato dentro e fuori dall'industry, è finalmente riuscito ad allontanarsi dalle scartoffie legali e mettere la sua penna al servizio di Eurogamer.it.

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