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Gone Home - review

Intenso, vitale ed espressivo.

Una volta ci dicevano che dovevamo salvare la principessa o rispedire i demoni all'inferno, e tanto ci bastava per iniziare a giocare e arrivare fino alla fine.

Con l'evoluzione dei videogiochi e la loro crescente diffusione, la trama ha guadagnato sempre più importanza anche al di fuori di quei generi in cui tradizionalmente questa è più elaborata, come avventure grafiche e giochi di ruolo, al punto che ora anche giochi di pura azione come Crysis o puzzle game come Portal, offrono sceneggiature realizzate da scrittori professionisti.

Il videogioco come mezzo per raccontare storie, dunque. Un'idea che in questi ultimi anni è stata parecchio discussa grazie ai lavori di Quantic Dream e al successo ottenuto da una piccola produzione come The Walking Dead, che si basa fortemente sulla trama e sulla capacità di coinvolgere emotivamente il giocatore.

In questo solco s'inseriscono i Fullbright Company, un team fondato da tre esuli di 2K Games che hanno lavorato al DLC per Bioshock 2 Minerva's Den, e che con Gone Home hanno voluto mostrare come un gioco possa raccontare una storia. Il mezzo è quello del cosiddetto "enviromental storytelling", una tecnica che utilizza l'ambiente per svelare i dettagli di una vicenda.

Il ritratto della famiglia Greenbiar. La casa ci racconterà le loro storie, se sapremo osservare bene.

Un'idea non nuova, tant'è che in passato titoli come Thief, lo stesso Bioshock o Dark Souls hanno utilizzato questo sistema per aggiungere dettagli alla trama e aumentare il coinvolgimento del giocatore. The Fullbright Company però va oltre. Se nei giochi sopra citati questa era in misure diverse qualcosa che faceva da contorno al gameplay, in Gone Home la trama è il gameplay. Testi, oggetti e luoghi sono tutti indizi per l'unico grande enigma di quest'avventura: rimettere insieme i pezzi della storia.

"Gone Home usa l'enviromental storytelling, una tecnica che utilizza l'ambiente per svelare i dettagli di una vicenda"

Siamo negli Stati Uniti, l'anno è il 1995. Katie Greenbriar, il nostro alter ego, torna con qualche giorno di anticipo dal lungo viaggio per l'Europa. È una notte buia e tempestosa, direbbe un famoso scrittore, e le comunicazioni sono difficili e la TV continua a ripetere che per sicurezza è meglio rimanere in casa. Non c'è nessuno ad accoglierci e l'unico segno è una lettera attaccata sulla porta d'ingresso in cui Sam, la sorella adolescente di Katie, si dispiace di non poter essere lì e le chiede di non cercarla.

Varcata la soglia inizierà la ricerca d'informazioni per spiegare il perché di quest'assenza. L'esplorazione è completamente libera, non ci sono frecce ad indicare la direzione od obiettivi da seguire in sequenza: l'unica "guida" è la voce di Sam che recita il proprio diario, scritto come se si rivolgesse direttamente alla sorella e che racconta le vicende che l'hanno portata a sparire.

Pulp Fiction, uno dei tanti riferimenti alla cultura degli anni '90.

Se la storia di Sam è raccontata in maniera diretta, quella dei due genitori, e della casa, è tutta da scoprire attraverso esplorazione ed osservazione. Come James Stewart in La Finestra sul Cortile, spieremo le vite degli altri ma, a differenza del capolavoro di Hitchcock, non guarderemo da lontano le persone ma seguiremo le tracce che hanno lasciato. Ogni angolo può nascondere un indizio, un tassello per ricomporre i loro caratteri, le loro manie, i retroscena delle loro vite, con cui scoprire molto più del semplice motivo della loro assenza.

"Se la storia di Sam è raccontata in maniera diretta, quella dei genitori e della casa è da scoprire attraverso l'esplorazione e l'osservazione"

Al di là delle vicende di Sam, di cui molti particolari rimangono fuori dalla narrazione del diario, non ci sarà una spiegazione ufficiale e la ricostruzione degli eventi è lasciata al giocatore e alla sua capacità di collegare tutti gli elementi che è riuscito a trovare, dando spazio a numerose interpretazioni e sfumature nel significato dei vari indizi.

Non stupisce dunque che la cura dei dettagli nel ricostruire la casa abbia del maniacale, come raramente si vede in un videogioco, contribuendo anche a creare in maniera sincera e credibile l'atmosfera degli anni '90.

I riferimenti alla cultura pop del periodo sono tantissimi: si possono trovare videocassette con registrate le puntate di X-Files e riviste che ricordano la morte di Kurt Cobain, richiami al Super Nintendo e a Street Fighter, giochi da tavolo che si rifanno a quelli in voga all'epoca, cassette audio con band underground, tutti particolari che chi ha vissuto l'adolescenza in quegli anni troverà immediatamente familiari.

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È incredibile come i Fullbright Company siano riusciti a costruire in questo modo dei personaggi intensi e vitali, pur senza mai mostrarli se non in una foto di famiglia, arrivando a far avere davvero a cuore le loro sorti e a suscitare un vero interesse per le loro vite. Molto è dovuto alla splendida recitazione di Sarah Robertson, che dà la voce a Sam e svolge un lavoro eccellente.

Continuare nell'analisi di Gone Home porterebbe inevitabilmente a spoiler che rovinerebbero l'esperienza, ma è indubbio dopo aver raggiunto la fine e aver ascoltato Sam leggere l'ultima pagina del diario, rimane addosso la sensazione di aver vissuto uno giochi più emozionanti e coinvolgenti degli ultimi anni, un vivido esempio di come i videogiochi possano trovare il loro spazio come mezzi di espressione senza dover imitare tecniche e strumenti di altri media.

Voci e testi di Gone Home sono solo in inglese ma è disponibile un traduzione in Italiano, sponsorizzata dagli stessi Fullbright Company, scaricabile a questo link.

9 / 10

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Gone Home

PS4, Xbox One, Nintendo Wii U, PC, Mac, Nintendo Switch

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A proposito dell'autore
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Elio Cossu

Contributor

Morso da un C64 radioattivo in tenera età, si trasforma lentamente in un videogiocatore accanito e nerd di un certo livello. Lo si trova spesso a frugare tra i giochi indie alla ricerca di qualche perla nascosta.
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