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Cosa deve fare God of War: Ragnarok per superare il suo predecessore?

Ecco cosa dobbiamo aspettarci da God of War Ragnarok.

Sono ormai due anni che l'aura di God of War: Ragnarok ha iniziato a permeare la line-up di casa PlayStation, prima esordendo di fronte al grande pubblico con un piccolo teaser e poi esplodendo in una serie di lunghe sequenze capaci di stuzzicare la fantasia degli appassionati.

Il nuovo videogioco di Sony Santa Monica, previsto per il 2022, rappresenta al momento l'assoluto most wanted tra le produzioni first party della casa giapponese: alla fine sarà in grado di mantenersi al di sopra delle aspettative?

Raccogliere l'eredità di uno straordinario successo è un'impresa difficilissima nei confini di qualsiasi medium, e lo è ancor di più in quello dei videogiochi: fra tutte le software-house che hanno conosciuto il grande successo internazionale, sono pochissime quelle che si sono dimostrate capaci di mantenere gli elevatissimi standard imposti dai propri blockbuster. Bethesda è entrata in crisi dopo Skyrim, CD Projekt è inciampata dopo The Witcher 3, Bungie dopo Destiny, Blizzard dopo Heartstone e Overwatch.

God of War del 2018, diretto da Cory Balrog e magistralmente messo in scena da Sony Santa Monica, è un videogioco che è stato in grado di vincere il premio per il GOTY dei The Game Awards, ma soprattutto di vendere 20 milioni di copie in poco meno di tre anni, che sono risultati d'eccellenza persino per un'esclusiva legata alla bandiera di PlayStation.

Ma, cosa ben più importante, God of War è riuscito a risollevare e mettere al centro del palcoscenico mediatico un franchise leggendario scomparso da anni, adattandone le forme alle nuove esigenze del mercato senza sacrificare un briciolo dell'identità originale. Non esiste probabilmente nessun sequel trasformativo - nella storia del cinema, dei videogiochi e persino degli album musicali – che sia riuscito ad avere lo stesso impatto dell'evoluzione di Kratos nel ruolo di padre.

Nuovi boss, nuovi nemici, nuove armi, nuove aree: basteranno?

God of War è stato un titolo universalmente acclamato a prescindere dai piccoli difetti che lo punteggiavano. I più citati? Senza alcun dubbio la ripetitività dei boss secondari e la scarsità del roster di quelli principali, laddove gli unici avversari mitologici di Kratos e Atreus si potevano individuare in Baldur, nei figli di Thor Magni e Modi nonché nella comandante delle valchirie Sigrun.

Fatta eccezione per queste piccolezze, l'odissea cinematografica rappresentata dal viaggio di Kratos e Atreus verso le vette dei giganti di Jotunheim ha senza dubbio imposto nuovi standard nell'ambito della narrativa videoludica, costruendo al tempo stesso un mondo fortemente vicino alla pura e semplice anima d'azione che aveva caratterizzato l'epopea del fantasma di Sparta.

Fatte queste premesse, la domanda è molto semplice: cosa deve fare God of War: Ragnarok per superare l'ambizione del suo predecessore? Come si fa a migliorare un videogioco che ha rivoluzionato la struttura della saga a cui appartiene conducendola verso nuove vette, specialmente ora che il potentissimo effetto novità si è esaurito?

“More of the same”. Questa particolare locuzione è croce e delizia di milioni di videogiocatori in tutto il mondo, perché come esistono persone che non vedono l'ora di trovarsi di fronte a una variante più grande e migliori dell'opera amata, ce ne sono altrettante che non amano la ripetitività e la cementificazione meccanica che sta segnando le produzioni contemporanee.

Quando sono emerse le prime sequenze in-engine di God of War: Ragnarok, il more of the same è entrato ancora una volta nel vocabolario degli appassionati. E come biasimarli? Quanto mostrato sembra delineare un'esperienza molto simile a quella vissuta nell'incrocio di mondi alla base di Midgard. Ma è veramente un male?

L'incontro fra Tyr e Kratos avverà finalmente in Ragnarok: due dei della guerra a confronto.

La cosa più ovvia da fare, in questi casi, è guardare al passato. God of War 2 fu un titolo infinitamente superiore al suo predecessore: nell'opera d'esordio di David Jaffe, ad esempio, c'erano solamente quattro boss, ovvero le due varianti dell'Idra, Medusa, il Pandora's Warden e il dio della guerra Ares. Il sequel, dal canto suo, riuscì a mettere in scena ben quindici diverse boss fight che contro ogni aspettativa culminarono nella battaglia contro Zeus, aumentando a dismisura la varietà di situazioni, reliquie e avversari presenti lungo il cammino di Kratos.

È evidente che il secondo capitolo debba assumere un ruolo pivotale nell'economia di una trilogia, a prescindere dal medium di appartenenza. L'Impero Colpisce Ancora, Le Due Torri, Mass Effect 2, Halo 2, e via dicendo: ciascuna di queste opere ha fornito le linee guida per la conclusione narrativa potenziando al tempo stesso l'intera offerta dei capitolo d'esordio, trascinando il pubblico ancor più in profondità nelle meccaniche che governavano i rispettivi mondi.

Il che ci porta alla questione scottante: sarà sufficiente per God of War: Ragnarok triplicare il numero di boss, aumentare il numero di mondi visitati magari aggiungendo al piatto il regno di Asgard e inserire qualche nuova arma per superare le aspettative degli appassionati? Quando ci si troverà a calcare di nuovo le nevi di Midgard cercando il metodo migliore di aprire un forziere, le novità saranno sufficienti per affievolire la sensazione di già visto?

Ci sono diverse teorie piuttosto accreditate riguardo i contenuti di God of War: Ragnarok. Molte derivano dall'intervista concessa da Cory Barlog a Easy Allies, nella quale il creatore della serie ha potuto parlare in modalità “full spoiler” del primo capitolo toccando due elementi fondamentali di questa trilogia. Il primo, ovviamente, riguarda il “foreshadowing” emerso dalla sequenza finale del gioco in merito all'ipotetica morte di Kratos.

Non è un segreto che gli appassionati abbiano intravisto in questa nuova trilogia la volontà di mettere la parola fine alla storia del fantasma di Sparta: in molti pensano che il personaggio di Atreus/Loki sia stato introdotto per raccogliere l'eredità del padre in seguito alla sua morte eroica diventando infine l'artefice del Ragnarok.

I primi trailer hanno già mostrato alcune nuove ambientazioni...

Sostituire un protagonista è un'impresa difficilissima ma di certo non impossibile, specialmente se la costruzione narrativa è in grado di fornire fondamenta sufficientemente solide da sostenere il passaggio di testimone. Possibile che proprio God of War: Ragnarok sia il titolo destinato a segnare la scomparsa del dio della guerra più famoso del mondo dei videogiochi?

Il secondo elemento discusso in passato da Cory Barlog e divenuto protagonista delle teorie più accreditate emerse dalla community riguarda una caratteristica particolare della narrativa di God of War, una che potrebbe stravolgere completamente anche il significato dell'ipotetica scomparsa di Kratos: stiamo parlando, infatti, dei viaggi nel tempo.

Nonostante nella mitologia norrena non esistano riferimenti effettivi alle meccaniche di viaggio nel tempo, nell'opera di Santa Monica del 2018 ci sono diversi segmenti che sembrano suggerirne la presenza. Su tutte brilla la storia del Serpente del Mondo, creatura che sappiamo discendere dallo stesso Loki ed essere improvvisamente comparsa nell'immenso lago che si trova al centro di Midgard.

In effetti, Mimir in persona racconta a Kratos che durante la battaglia del Ragnarok Thor colpirà il Serpente tanto violentemente da spedirlo indietro nel tempo. Tutti questi elementi, assieme al murale che s'intravede a Jotunheim verso la fine dell'intreccio, hanno convinto gli appassionati che il viaggio nel tempo sia destinato a diventare un elemento centrale nella trilogia, regalando un senso inaspettato a tantissime sequenze dell'opera.

Se Kratos dovesse veramente morire, un viaggio nel tempo permetterebbe di fatto agli autori di sfruttare comunque la sua figura. In molti si chiedono perché Thor non sia mai intervenuto nel corso dell'avventura di Kratos e Atreus, e la risposta potrebbe risedere proprio nel fatto che sia già stato sconfitto “nel passato” dalla coppia di protagonisti. Allo stesso modo anche la figura di Tyr, che sappiamo essere presente in Ragnarok, non ha ancora fatto una comparsa diretta e resta dato per morto o disperso, quindi un eventuale incontro nel passato non è assolutamente da escludere.

…ma la mappa di gioco deve per forza rimanere quella di Midgard, almeno all'inizio.

Probabilmente il motivo principale per cui la teoria del viaggio nel tempo ha fatto tanta strada risiede in alcuni elementi di game design, e su tutti la mappa di gioco e la struttura semi open-world. Ambientare il sequel nelle stesse identiche terre in cui si è svolto il capitolo precedente, aggiungendo giusto qualche destinazione al Bifrost, costituirebbe infatti un trionfo del “more of the same” dal quale si potrebbe tranquillamente sfuggire attraversando il velo del tempo. Quella di far visitare al giocatore la medesima ambientazione in diverse epoche storiche è una tecnica che ha brillato in molti videogiochi di successo, da Pokémon col suo Kanto fino all'intero Chrono Trigger.

Resta tuttavia il fatto che, basandoci sulle informazioni che abbiamo ricevuto fino a questo momento, sia piuttosto difficile immaginare God of War: Ragnarok come qualcosa di diverso da una variante “più grande e migliore” del suo predecessore, ovvero una prosecuzione del viaggio di Kratos e Atreus caratterizzata da un netto incremento del numero di avversari, di mappe, di armi, nonché di elementi e personaggi pescati dalla mitologia norrena.

Ma se un tempo realizzare un'opera semplicemente più vasta e rifinita di quella precedente era sufficiente per fare la felicità degli appassionati, oggi tanto i tempi quanto la percezione del videogioco sono nettamente cambiati, al punto che quelle che erano le qualità fondamentali alla base di un sequel di successo vengono talvolta percepite come criticità. Le frasi “sembra un DLC del primo episodio”, “non è next-gen” e “non ha stravolto la formula” sono divenute dei mantra molto diffusi fra critici e appassionati.

C'è però un ultimo elemento relativo a God of War: Ragnarok che vale la pena prendere in considerazione, perché probabilmente rappresenta un unicum nel marketing contemporaneo: quando all'epoca God of War arrivò sugli scaffali dei negozi, nessuno aveva la benché minima idea di cosa si nascondesse dall'altra parte dello schermo.

Contrariamente alla prassi adottata da molti videogiochi tripla A, Santa Monica Studios non ha mostrato praticamente nulla prima del lancio: non si sapeva dell'esistenza dei vari regni come Alfheim, non si sapeva della presenza delle Lame del Caos, addirittura non si sapeva che la mappa avrebbe assunto una struttura open-map in stile metroidvania.

Thor in versione powerlifter secondo God of War Ragnarok.

Ecco, queste difficili scelte di marketing – difficili perché nascondendo elementi chiave di una produzione si rischia di perdere pubblico potenziale – hanno portato l'opera a diventare una gigantesca sorpresa per chi gli ha dato fiducia. Un po' come è successo in Elden Ring, titolo del quale facendo affidamento sui materiali ufficiali sarebbe stato pressoché impossibile indovinare le effettive dimensioni gargantuesche e la grezza quantità di contenuti.

Se ci pensate, God of War: Ragnarok sta facendo un po' la stessa cosa: ha condiviso informazioni col cucchiaino, ha immortalato qualche artwork, ha mostrato brevi sequenze di gameplay ed è altamente probabile che – se non sarà anch'esso rinviato – diventerà presto protagonista di uno State of Play che alzerà il sipario sulle prime fasi dell'avventura pad alla mano. E poi? Cosa si nasconderà effettivamente dietro i cancelli del sequel più atteso dell'anno?

L'ultimo lavoro di Sony Santa Monica rappresenterà senz'altro un momento di grande impatto nell'economia della nona generazione di console: oltre ad essere, probabilmente, l'ultimo grande first party ricamato attorno alla filosofia cross-generazionale, ci permetterà di capire definitivamente quale sia il destino dei sequel diretti nel mercato dei videogiochi contemporaneo.

Sarà possibile, come accadeva regolarmente fino a dieci anni fa, poter affermare nuovamente che “il secondo è nettamente migliore del primo?”.

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Lorenzo Mancosu

Editor-in-Chief

Cresciuto a pane, cultura nerd e videogiochi, i suoi primi ricordi d'infanzia sono tutti legati al Super Nintendo. Dopo aver lavorato dentro e fuori dall'industry, è finalmente riuscito ad allontanarsi dalle scartoffie legali e mettere la sua penna al servizio di Eurogamer.it.
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