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The Last of Us Parte 2: quattro chiacchiere (piene di spoiler) con il director Neil Druckmann - intervista

"Online qualcuno dice che abbiamo mancato di rispetto ai personaggi. Ca***te! Nessuno li ama più di noi."

ATTENZIONE SPOILER: IN QUESTO ARTICOLO PARLIAMO DELLA STORIA DI THE LAST OF US PARTE 2, FINALE COMPRESO.

Prima che The Last of Us Parte 2 uscisse, ma dopo averlo giocato e dopo che la trama era già trapelata online, abbiamo intervistato il director Neil Druckmann. Non potevamo perdere l'occasione di parlare della storia del gioco e di come fosse strutturata, quindi ecco a voi la seconda parte della nostra chiacchierata, ma occhio: continuate a leggere solo se avete già finito il gioco.


Eurogamer: Nella seconda parte del gioco è molto triste incontrare persone (e cani) che hai già ucciso. Ci si vergogna, e ci si sente in colpa, sentimenti che non sono comuni nei videogiochi.

Neil Druckmann: Hai parlato di vergogna e senso di colpa, sono cose possibili solo coi videogiochi, giusto? Nel senso che sei tu ad aver compiuto quelle azioni, e ora ne vedi le conseguenze e provi empatia verso i PNG. Sai, sul fronte del marketing parliamo del gioco in una certa maniera, ma non è un gioco che parla d'odio. È un gioco che parla di empatia, di perdono.

Abbiamo costruito la struttura del gioco in modo che all'inizio il giocatore provasse un odio profondo, e non vedesse l'ora di trovare quelle persone per fargliela pagare. Sono i momenti del gioco che sono comparsi online dopo il leak. Come hanno deumanizzato Abby, e come parlano di lei, è insieme orribile e umano, è così che funzioniamo.

Sono cose che abbiamo visto e rivisto nelle interviste ai genitori di figli persi per episodi di violenza, per esempio. Dicono che vorrebbero mettere le mani sui colpevoli e scuoiarli, e gli credo, credo che in determinate circostanze gli esseri umani siano capaci di atti del genere. Quindi il nostro obiettivo era partire da quei sentimenti e poi stimolare una riflessione. E poi, magari, lasciare qualcosa nei giocatori così che in futuro, nel mondo reale, possano fermarsi un attimo e riflettere sulle diverse prospettive.

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Eurogamer: L'ultimo scontro tra Ellie e Abby è così disperato e vuoto che non ci sono vincitori. Ero così arrabbiato con Ellie, mentre all'inizio ero così pronto a odiare Abby, ma nella mia prospettiva le loro posizioni si sono ribaltate. L'obiettivo di quello scontro era dipingere Ellie come il nemico?

Neil Druckmann: Per me, parlare di eroi o cattivi vuol dire dare un giudizio troppo forte. Noi presentiamo personaggi coi loro difetti, li mostriamo mentre compiono scelte imperfette e mentre gestiscono le conseguenze delle loro azioni. La domanda è come ne usciranno? La storia di Elly la vede impegnata a riempire il vuoto lasciato dalla morte di Joel, e ogni volta che uccide pensa di rimandare al mittente le sofferenze inflitte. Con ogni morte, sempre più brutale, lei perde un pezzo della sua umanità. Spera di riempire il vuoto ma è un viaggio senza meta. Come dicevo, ci siamo basati su interviste fatte a persone che hanno visto condannare a morte gli assassini di un loro affetto, ma che dopo l'esecuzione si rendono conto che non è servito a niente. La persona cara non gli è stata restituita.

Il percorso di Abby invece parla di redenzione. Negli ultimi cinque anni il suo obiettivo era trovare e uccidere Joel, era diventata una specie di arma. Lo immaginava come un superuomo, come il diavolo in persona, e si vede. Il suo gruppo è terrorizzato da lui, persino dopo che lo gambizzano continuano a tremare, e poi la sua morte è quasi patetica, non dà soddisfazione, è solo triste. Quindi abbiamo deciso di esplorare la sua redenzione dopo quei fatti. Vuole salvare i ragazzi dal gruppo avversario con cui è in perenne guerra, un gruppo che ha già decimato. Quella è la sua missione, una missione positiva.

Il nostro obiettivo per lo scontro di cui parli era di far tifare per entrambi i personaggi, anche se sappiamo che non tutti la penseranno così. Ellie arriva in un punto simile a quello di Abby, si immagina un combattimento che nella realtà è molto più patetico. Abby non è più la persona che ha ucciso Joel, è una persona che ha sofferto e trovato il modo per redimersi, e il giocatore ha il contesto completo su entrambi personaggi per capire quanto sia inutile quello scontro.

Eurogamer: Com'è nata l'idea di usare Future Days dei Pearl Jam? È un pezzo inusuale, ma che funziona molto bene.

Neil Druckmann: È una storia strana in realtà. Quando abbiamo finito il primo gioco, Geoff Keighley ci ha contattati per fare The Last of Us: One Night Live, dove avremmo portato gli attori su un palco per fargli recitare in diretta alcune scene del gioco. L'idea mi era piaciuta, ma ho anche pensato che potesse essere un'occasione per fare qualcosa di unico, con Troy e Ashley si potevano esplorare momenti ambientati dopo la fine del gioco. Ho scritto questa scena in cui Joel porta la chitarra a Ellie, c'è tensione tra i due, e poi la canzone. All'epoca ero innamorato pazzo dei Pearl Jam e di quella canzone, poi ho controllato le date...

Eurogamer: È stata pubblicata il mese dell'epidemia!

Neil Druckmann: In realtà non è uscita prima dell'epidemia, ma c'erano video su YouTube in cui Eddie Vedder la cantava dal vivo, quindi può essere che Joel l'abbia imparata così. Dopo aver preparato la scena, insomma, ho capito che sarebbe stato l'inizio di The Last of Us 2, semplicemente lo sapevo.

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Eurogamer: Lev è uno splendido personaggio. Potremmo dire che è tra i pochi con una certa innocenza, e spiega la sua situazione con gran semplicità: "mi sono rasato a zero". Avete consultato associazioni LGBTQ+ per decidere come affrontare la sua storia e il rapporto col culto?

[NdR: alcuni osservatori trans, ma non tutti, non hanno apprezzato la rappresentazione di Lev. Trovate un approfondimento (in inglese) su VG247.]

Neil Druckmann: Sì abbiamo lavorato con un consulente in materie religiose perché volevamo sapere esattamente in che tipo di campo minato stavamo entrando nel creare una religione, e quali aspetti potessero offendere le persone. La nostra posizione è che non si possa creare un'opera d'arte che affronta tematiche così calde senza offendere qualcuno, ma ovviamente bisogna informarsi ed evitare di scegliere a caso, visto che ogni scelta narrativa è al servizio della storia.

Abbiamo diversi colleghi transgender con cui ci siamo confrontati costantemente, abbiamo letto molto, guardato interviste e assunto un consulente che ci guidasse. E poi, una volta che eravamo informati a dovere, abbiamo dovuto dimenticarci tutto e trattare Lev come un qualsiasi altro personaggio nel mondo.

Non è diversità fine a se stessa, non abbiamo deciso di avere un personaggio trans giusto per poterlo dire, è stata piuttosto opportunità di esplorare aspetti narrativi molto interessanti all'interno della religione. Un personaggio perseguitato dagli adepti di un certo culto che però non perde la sua spiritualità, ma interpreta la religione in un altro modo. Ecco cosa ci dà la diversità: una nuova prospettiva, un nuovo punto di vista da cui osservare una storia.

Eurogamer: Quali erano le vostre speranze per il personaggio di Abby, all'inizio?

Neil Druckmann: Quello che ti dicevo prima: volevamo che i giocatori la odiassero profondamente, che volessero farle cose orribili. Quando ero giovane, più o meno all'età di Ellie, stavo guardando il telegiornale e hanno mostrato delle riprese di un linciaggio. Mi ha colpito nel profondo, sia la violenza, che le urla di giubilo che l'accompagnavano. Mi ha disgustato e nella mia testa pensavo che avrei voluto ucciderli tutti. Se avessi potuto premere un pulsante l'avrei fatto. Se fossi stato in una stanza chiusa con uno dei più orrendi aggressori legato a una sedia penso l'avrei torturato. I miei pensieri andavano in quella direzione.

Poi, anni dopo, ho riflettuto e capito che erano pensieri completamente folli. Ho vissuto una vita normale, partecipato a pochissime zuffe a scuola, eppure la mia testa era pronta a tuffarsi nella violenza solo dopo aver visto qualcosa in televisione. E poi ho immaginato come mi sarei sentito se fosse successo a qualcuno vicino. Quelli nel video erano sconosciuti, non conoscevo le vittime e nemmeno i carnefici.

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Neil Druckmann: Così è nato questo dibattito nella mia testa, un dibattito che è proseguito per diversi anni, e poi ho capito che in un gioco potevamo scatenare quel tipo di emozioni. Avevamo un personaggio amato come Joel, quasi uno di famiglia, e a giudicare dalle reazioni online direi che siamo riusciti a far provare quel tipo di sentimenti.

La sfida è che bisogna comprendere Abby, perché se no il gioco fallisce, non funziona. Se per tutta l'avventura vuoi solo vendetta e non capisci mai la sua posizione il gioco cade in pezzi, ecco perché la maggior parte dei nostri sforzi sono serviti a rendere Abby... positiva, più o meno. Uno dei rischi, quando scrivi questo tipo di storie, è di rendere perfetti personaggi come Abby per essere sicuri che piacciano al pubblico. Non fanno mai niente di male, fanno solo scelte moralmente giuste, ma la realtà è che l'empatia non funziona così. L'empatia nasce dagli errori e dal tentativo di ripararli, anche se maldestro magari. La nostra speranza è che i giocatori la vedano umana, insomma, complessa come un essere umano.

Eurogamer: Nel gioco viene voglia di far male alle persone, ma poi si è costretti a confrontarsi con la realtà e si scopre che è molto più difficile di quello che sembra. Deve essere difficile, giusto?

Neil Druckmann: Il film "Salvate il soldato Ryan" ha avuto un grande impatto su di me, prima di tutto perché è ottimo intrattenimento e si fa fatica a distogliere lo sguardo, si vogliono seguire i personaggi, e poi perché è disturbante, scomodo e pone domande importanti e mette in discussione tutto quello che pensiamo delle storie d'azione. Le rende più vicine alla realtà e ne mostra gli orrori. Ecco la nostra speranza: non vogliamo solo schifare le persone o spingerle a spegnere la console, speriamo che la storia invece spinga a continuare ma vogliamo anche trasmettere il peso delle azioni diversamente da come succede di solito nei giochi d'azione.

Quando fai qualcosa di nuovo (o almeno nuovo per noi), la sfida è che non sai come sarà l'accoglienza del pubblico. Lo abbiamo visto anche con le reazioni ai leak. Credo che i giochi ci abbiano abituati ad avere un certo tipo di aspettative verso i seguiti, pensiamo che potremo impersonare determinati personaggi, e che i fatti si svolgano in un certo modo. Ecco, noi vogliamo mettere in discussione le convenzioni. Sono sicuro che sia già successo ma faccio fatica a nominare un seguito che ha ucciso il protagonista. E poi era importante per noi non farlo in modo eroico, ma in modo brutale, disgustoso, quasi banale. Quando abbiamo scritto quella scena abbiamo cercato di dare fastidio prima di tutto a noi stessi, così sapevamo che avrebbe dato fastidio anche ai fan del primo capitolo.

In un primo momento sapevo che i fan sarebbero inorriditi, ma poi, a tuffarsi nella storia, si scopre che Joel è sempre presente. È in ogni attimo della storia perché la sua relazione con Ellie e le sue azioni hanno lasciato segni indelebili, e si vede nei vari flashback e nel momento finale in cui Ellie riflette sul perdono, sull'ultima conversazione che hanno avuto in cui lo vedeva dalla parte del torto tanto da non volerci avere più nulla a che fare. Eppure è passata, ha superato quei sentimenti, e penso che sia proprio quello il cuore dell'umanità di Ellie, c'è ancora qualcosa di buono in lei nonostante tutte le scelte difficili.

Eurogamer: Cosa pensano Troy Baker e Ashley Johnson dell'evoluzione dei loro personaggi?

Neil Druckmann: Uhm... ah ah ah! Ricordo la prima volta che ne ho parlato con Ashely, subito dopo averle parlato del DLC Left Behind. Eravamo in un ristorante, era commossa, quando le ho raccontato a grandi linee cosa pensavo di scrivere per il seguito singhiozzava, ma le è piaciuto tantissimo.

Credo che sia stato simile anche per Troy... Insomma, non è stato facile per loro. Online ho visto che qualcuno ha detto che abbiamo mancato di rispetto ai personaggi. Cazzate! Nessuno li ama più di noi.

Tranne Troy Baker, forse. Nessuno ama Joel più di Troy Baker.